Migration compact

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Ci sono voluti migliaia di morti e lo spettacolo orribile delle vittime, in particolare di bambini, mostrate dai mass media per costringere le Istituzioni italiane ed europee a tentare di uscire dai soli, pur generosi, interventi di emergenza e a provare ad avviare politiche di più lungo periodo per rispondere all’ondata di migranti e profughi verso l’Europa.

In un contesto difficile di crisi sociale ed economica, reso rovente dalle crescenti derive populiste e xenofobe in tutti i Paese UE, i responsabili politici europei hanno dovuto fare i conti con una percezione del problema migranti del tutto fuori misura, lontano dalla realtà effettiva. Per limitarsi alla sola opinione pubblica italiana impressiona registrare, a fronte di una presenza reale di migranti pari all’8% della popolazione totale, una percezione pubblica che li stima attorno al 30%.

Che in politica la percezione conti più della realtà non è una sorpresa, come non è una sorpresa che vi sia in politica chi sfrutta queste percezioni agitando allarmi e minacce per guadagnare consenso: accade non solo in Italia, ma un po’ ovunque, compreso nella battaglia referendaria in corso in questi giorni in Gran Bretagna sul tema della Brexit.

Tutte dinamiche che hanno indotto il governo italiano in aprile a presentare una proposta di “migration compact”, ripresa e rimodulata dalla Commissione europea e appena presentata a Strasburgo nel corso della sessione plenaria del Parlamento europeo.

All’origine di questa proposta c’è l’iniziativa italiana, confortata da una presa di posizione sul tema migranti dal G7 di fine maggio in Giappone, e adesso affidata al complesso processo decisionale delle Istituzioni comunitarie, la cui conclusione sarà nelle mani del Consiglio europeo dei Capi di Stato e di governo, si spera entro la fine dell’anno.

La proposta, diventata adesso europea, fa seguito al fallimento dei tentativi di ricollocazione convenuta di 160 mila migranti, risponde alla crescita dei flussi migratori (nel 2015 quasi un milione e mezzo di persone hanno fatto domanda di asilo in Europa) e riprende in parte, migliorandolo, lo schema dell’accordo UE-Turchia.

In estrema sintesi, l’obiettivo è quello non nuovo di creare condizioni di sviluppo e di sicurezza nei Paesi d’origine dei migranti, per sostenerne l’economia e la stabilità e arginare i flussi delle persone verso l’Europa. La novità della proposta risiede nel tentativo di impostare una strategia di lungo periodo in un quadro di politica estera e di sicurezza dell’Ue, approccio che spiega anche il ruolo che sta assumendo in questa iniziativa l’italiana Federica Mogherini, Alto Rappresentante UE per la politica estera e vicepresidente della Commissione europea. Altro indizio, ancora debole, di novità è da ricercare nelle risorse finanziarie che vengono mobilitate e nei Paesi prioritari verso i quali farle confluire.

L’intervento dovrebbe prendere avvio con urgenza dal Fondo esistente UE-Africa che, rafforzato con 500 milioni di euro e facendovi confluire risorse da altri capitoli del bilancio UE, disporrebbe di un pacchetto iniziale di risorse di circa 8 miliardi di qui al 2020. Questo primo pacchetto dovrebbe essere affiancato più avanti da un nuovo Fondo, con una dotazione di denaro pubblico di circa 6 miliardi di euro, metà in provenienza dal bilancio comunitario e l’altra metà in provenienza, si spera, dagli Stati membri. In analogia con il piano Juncker per la crescita, ad oggi non proprio performante, questo denaro pubblico dovrebbe avere un effetto leva a sostegno di investimenti e raggiungere una massa critica di circa 60 miliardi di euro complessivi: numeri per ora sulla carta e per i quali il condizionale è d’obbligo.

Interessante anche la lista dei Paesi ritenuti prioritari per la destinazione di queste risorse: in prima fila la Libia, dove vi sarebbe quasi mezzo milione di migranti potenziali, e poi Tunisia, Senegal, Etiopia, Mali, Nigeria e Niger in Africa e Libano e Giordania sui bordi mediorientali.

Com’è facile capire si tratta di un piano che cerca di saldare gli interventi di emergenza con stimoli a politiche di sviluppo, prestando finalmente attenzione all’Africa, il “nostro continente di casa” prima largamente saccheggiato dai Paesi europei e poi troppo a lungo dimenticato. Se il fenomeno migratorio in corso diventasse l’occasione per riscoprire le grandi potenzialità dell’Africa fornirebbe all’UE una preziosa opportunità di mettere in cantiere un primo avvio concreto di politica estera, oltre che a farle riscoprire il valore della solidarietà.

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