Adesso che gli echi dei comprensibili festeggiamenti per la vittoria di Syriza si sono spenti ad Atene e mentre a Bruxelles, Francoforte e Berlino fervono gli interrogativi sulle risposte da dare ad Alexis Tsipras, viene il tempo di provare a capire – o a indovinare – quale Unione Europea potrà rinascere dopo il voto greco. Un voto che traduce la domanda, molto più diffusa in Europa che non soltanto quella dell’elettorato greco, di un’altra Europa, più rispettosa dei suoi cittadini, più solidale e più democratica.
Un messaggio che arriverà chiaro anche dalle elezioni politiche spagnole di fine anno e che era già forte – per chi aveva partecipato al voto – nelle elezioni europee del maggio scorso, all’origine di un primo, anche se insoddisfacente ricambio, ai vertici delle Istituzioni europee. Traccia di una risposta ai popoli europei è già stata evidente nella decisione della Banca centrale europea (BCE), anche se ancora con un basso tasso di solidarietà (solo il 20% di rischio assunto dall’Europa) e con molte cautele sulla sua eventuale applicazione al “ribelle” popolo greco.
Adesso, esauriti i preparativi, si aprirà un negoziato difficile per tutte le parti coinvolte. Difficile per Berlino che non vorrà perdere la faccia di fronte ai suoi partner e ai suoi cittadini, ai quali il rigore è stato promesso come un limite invalicabile. Indietreggiare da quel fronte eroderebbe il consenso elettorale di Angela Merkel e getterebbe un’ombra sulla pur riluttante leadership della Germania, di cui l’UE in questa fase ha bisogno.
Nemmeno ha grandi margini di manovra Mario Draghi, sospettato di un azzardo morale che secondo alcuni incoraggerebbe comportamenti lassisti e accusato in Germania di contribuire a rallentare le riforme di cui l’economia europea ha bisogno.
Più difficile da interpretare l’atteggiamento del Fondo monetario internazionale (FMI), infiltratosi poco democraticamente nel tessuto istituzionale europeo, ma da tempo critico con l’eccesso di rigore di Berlino. Forse sarà anche l’occasione per rivedere i poteri affidati alla “troika” (Commissione europea, BCE e FMI ), se non la sua stessa esistenza, e ci si può aspettare che su questo almeno il Parlamentare europeo si faccia sentire. Ne potrà approfittare la Commissione europea per riprendersi il diritto – dovere di iniziativa affidatile dai Trattati e troppo a lungo trascurato, mentre già si è mosso il Presidente dell’eurogruppo, accolto con “fredda” cordialità ad Atene.
Dall’altra parte del tavolo Syriza, guidato da Alexis Tsipras, e il suo sorprendente alleato Amel, un partito di destra a forte connotazione antieuropea e nazionalista. Una scelta che si può spiegare solo con l’esigenza di condividere con il partner una linea dura verso la Troika, al limite della provocazione. O, ma forse è peggio, offrire al governo una “copertura” nei confronti dell’esercito in un Paese che potrebbe non aver dimenticato il “regime dei colonnelli”.
Il mancato raggiungimento della maggioranza assoluta poteva offrire a Tsipras l’occasione per altre alleanze meno traumatiche e più compatibili con il suo progetto progressista. Syriza, che già non è una coalizione del tutto omogenea, dovrà adesso nella nuova coalizione mostrarsi intransigente, addebitandone la responsabilità anche al suo alleato, col rischio di non poter contare sul sostegno di importanti forze politiche europee al governo nei Paesi UE, chiamati tra l’altro a farsi carico del debito greco, nel caso che questo non venisse onorato.
A questo punto il vero problema riguarda meno la Grecia che il futuro dell’Europa, della sua moneta e, soprattutto, dei suoi cittadini che riprenderanno fiducia nell’UE quando la vedranno capace di solidarietà e garante di pace. Non significa chiedere la luna, ma solo il rispetto della vocazione originaria dell’UE, in una stagione di crescenti disuguaglianze sul continente e nel resto del mondo, di minacciosi conflitti armati ai confini dell’Europa e di gravi attentati terroristici al suo interno.
Minacce senza comune misura con i problemi, pur gravi, della Grecia, un Paese a cui la cultura europea deve molto e che con le sue modeste dimensioni economiche (appena il 2% del Pil europeo) non può essere considerato una minaccia per l’Unione Europea, semmai un’occasione per riprogettare e ricostruire un’autentica comunità europea, a partire da “chi ci starà”.