Lotta al terrorismo e sviluppo dei Paesi arabi

1008

La lotta al terrorismo era annunciata come una delle priorità   della presidenza britannica; nel documento che illustra il programma di lavoro per il secondo semestre 2005 si legge che «E’ interesse di tutti gli Stati membri lottare insieme con i Paesi terzi contro il terrorismo». La presidenza inglese si impegna a rispettare gli impegni del programma dell’Aja e del Piano di azione contro il terrorismo ma anche a progredire in materia di cooperazione giudiziaria (acquisizione delle prove e regolamentazione della registrazione dei dati trasmessi telematicamente), sicurezza delle frontiere e dei documenti di viaggio di coloro che escono dall’Ue.
All’indomani dei tragici fatti di Londra un Tony Blair profondamente e visibilmente scosso ha ribadito che il terrorismo non vincerà  , sostenuto dagli 8 grandi del mondo che, nel documento finale del G8 di Gleneagles si sono impegnati a «migliorare la condivisione di informazioni sul movimento dei terroristi attraverso i confini internazionali, a promuovere migliori condizioni di sicurezza per i trasporti ed in particolare per i treni e le metropolitane e a prevenire che nuove persone si dirigano verso il terrorismo».
La lotta al terrorismo, perà², non puಠessere portata avanti solo per via militare e/o normativa; lotta al terrorismo è anche promozione di riforme e sviluppo, incontro tra culture, reciproca conoscenza di civiltà  , creazione di un sentire comune di pace e stabilizzazione di relazioni economiche e sociali.
Per questo nei giorni in cui una Londra ferita e spettrale riceve la solidarietà   del mondo ci sembra giusto dare conto della due giorni che a Torino è stata l’occasione per presentare sia il Terzo «Arab Human development Report» curato da UNDP (United Nations Development Program) sia il nascente Istituto Euromediterraneo del Nord Ovest (Paralleli).

Il rapporto UNDP, è stato presentato da Rima Khalaf Hunaidi – assistente del Segretario Generale delle Nazioni Unite e Direttore dell’Ufficio UNDP per gli Stati Arabi – e da Clovis Maksoud – direttore del Centre for Global South e professore di Relazioni Internazionali all’American University di Washington – e discusso nel corso di una intera giornata da membri delle istituzioni, docenti universitari, esponenti sindacali e rappresentanti della società   civile delle due sponde del Mediterraneo.
Illustrando il testo UNDP, Rima Khalaf Hunaidi ha sottolineato che se è vero che la qualità   della vita nei Paesi arabi è sensibilmente migliorata negli ultimi dieci anni è anche vero che non c’è crescita economica: per raddoppiare il reddito pro capite nei Paesi arabi sarebbero necessari 140 anni e la produttività   del lavoro è in costante calo dagli anni 80.
A questo si aggiungono la povertà   di opportunità   e il deficit di conoscenza e di libertà  ; i Paesi arabi hanno il livello più basso di libertà   civili nel mondo e alcuni regimi, sostenuti dai poteri della globalizzazione, continuano a deprivare i cittadini di diritti, considerandoli sempre più oggetti e sempre meno soggetti della vita politica.
Le norme costituzionali garantiscono le libertà   civili ma restano lettera morta se non si traducono in misure concrete che tutelino la libertà   di dimostrazione, il diritto all’informazione e il diritto alla vita; il persistere, poi, in molti Paesi dello stato d’assedio o dello stato di emergenza tiene in vita i tribunali militari e i tribunali speciali a scapito del diritto al giusto processo.
Soltanto in Algeria, Barhein, Sudan e Yemen esistono forme di democrazia diretta o rappresentativa; in generale, perà², ci sono gruppi culturali ed etnici che non possono esercitare i diritti civili e politici e non c’è partecipazione alla vita politica in particolare per le donne. Fenomeni come l’occupazione dello Stato palestinese complicano ulteriormente le cose anche per gli altri Paesi arabi in quanto comportano gravi ritardi nella implementazione delle riforme politiche.
Nel rapporto UNDP si individuano alcuni fattori strutturali che limitano la libertà   nel mondo arabo: esiste un problema legale: spesso le carte costituzionali garantiscono formalmente i diritti ma non si traducono in prassi o in norme sostanziali; c’è poi una questione politica: la concentrazione e la centralizzazione del potere determina un «buco nero nello Stato» e limita, ad esempio, l’autonomia del potere giudiziario.
Esistono, infine, problemi legati alla struttura sociale e allo scenario internazionale: il clan è e resta l’unità   fondamentale della società   nei Paesi arabi e questo stato di cose è perpetuato dall’inesistenza di istituzioni che garantiscano i diritti in maniera oggettiva e uguale per tutti
La comunità   internazionale ha le sue responsabilità   in primo luogo perchà© non si è mai impegnata per il superamento di questa struttura sociale, funzionale al mantenimento dello status quo in tema di accesso al petrolio; in secondo luogo perchà© il sistema globale della governance ha bloccato i canali di pace disponibili per i Paesi arabi che inevitabilmente «implodono» essendo inascoltati da quelle istituzioni in cui il diritto di veto, esercitato ad esempio dagli Stati Uniti, blocca il compimento della democrazia globale.
Il rapporto UNDP sottolinea perಠanche che, dal 2002, qualcosa è cambiato e alcuni segnali positivi cominciano a vedersi: ci sono state conferenze, petizioni e movimenti per le riforme in Marocco, Barehein e Giordania e, più in generale, i cittadini del mondo arabo si sono resi conto dell’importanza delle riforme politiche e sociali in risposta alla precarietà   dello status quo, perchà© la crescente ingerenza americana getta ombre cupe sul futuro del mondo arabo e perchà© senza riforme si rischiano recrudescenze di violenze e rivoluzioni che l’UNDP definisce come un «imminente scenario disastroso».
Questo passaggio e questa acquisizione di consapevolezza sono fondamentali per l’apertura delle società  ; siamo ad un crocevia e bisogna agire per la prosperità   futura, bisogna dare vita a una società   pacifica che realizzi riforme implementate dal basso e rispettose delle aspettative dei popoli arabi. Non servono iniziative «importate» dall’esterno, bisogna garantire le libertà   di opinione, espressione e associazione, bisogna porre fine alle discriminazioni e allo stato di emergenza per garantire una magistratura indipendente.
I cambiamenti, perà², vanno promossi dall’interno perchà© solo così si puಠarrivare alla costruzione solida della democrazia che non è unica e esportabile sempre nelle stesse forme; le riforme, che passano attraverso la costruzione di partnership paritarie devono aiutare i Paesi arabi a sviluppare le capacità  , le competenze e le esperienze per stare sullo scenario internazionale.
La presentazione del rapporto e il relativo dibattito, tenutisi a Torino l’8 e il 9 luglio scorsi, sono stati realizzati su iniziativa di Paralleli: Istituto Euromediterraneo del Nord Ovest, di cui APICE è socio fondatore.
Paralleli è un’associazione senza fini di lucro che intende contribuire alla costruzione di uno spazio euromediterraneo di libertà  , sicurezza e sviluppo economico e sociale.
L’Istituto promuoverà   iniziative di coinvolgimento della società   civile, di partecipazione sociale, di promozione del dialogo culturale e religioso e di relazioni economiche orientate al co-sviluppo.
Gli ambiti di intervento di Paralleli saranno la sensibilizzazione della società   civile e delle istituzioni locali, la ricerca-formazione e informazione e la realizzazione di inziative pubbliche in un contesto di rafforzamento del dialogo euromediterraneo.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here