Le guerre in Siria

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Sono più di quattro anni che la guerra siriana, nella sua costante e tragica evoluzione, contribuisce a sconvolgere gli equilibri geopolitici, geografici, economici e soprattutto umani del Medio Oriente. Partita nel 2011 sulla scia di legittime proteste nel contesto delle primavere arabe, si è trasformata, per breve tempo, in una guerra civile ed è sfociata infine in una guerra di vaste proporzioni, teatro di scontro di molteplici interessi politici locali, regionali e internazionali. È quello che alcuni esperti hanno definito una “proxy war”, ossia una guerra per procura. Le conseguenze umane sono sotto gli occhi di tutti e le cifre sono impietose: più di 250 mila vittime dall’inizio della guerra e circa sette milioni di rifugiati nei Paesi vicini, di cui solo una piccola parte cerca, a rischio della propria vita, di attraversare il Mediterraneo e cercar asilo in Europa.

La tragedia iniziata in Siria ha inoltre generato importanti sviluppi politici: la proclamazione di un sedicente Stato islamico (IS) con l’obiettivo di ricomporre un antico Califfato sunnita, attraverso una guerra e un feroce terrorismo, ha cancellato le frontiere fra Siria e Iraq e allargato i luoghi di combattimento per andare a toccare altri e già fragili equilibri, come quelli economici (petrolio) o etnico-territoriali come quello dei curdi. Un intreccio di guerre che ha evidentemente riportato in concreta evidenza non solo la profonda spaccatura fra sunniti e sciiti nella regione, ma anche un’indefinita moltitudine di fazioni, correnti, estremismi e fondamentalismi che rispecchiano, a seconda di un non dichiarato sostegno ottenuto, le posizioni e le mire egemoniche dei vari Paesi della regione.

Tutto ciò a conferma che la guerra in Siria non è più una guerra fra siriani, fra l’esercito governativo e i “ribelli”, ma, a livello regionale è diventata luogo di confronto fra, da una parte i sostenitori di Bachar al-Assad, Iran e Hezbollah libanese, e dall’altra, i Paesi del Golfo, Arabia saudita in testa e Turchia. Anche a livello internazionale, la Siria è diventata terreno di divisioni politiche. Contrariamente alle forti e costanti posizioni di condanna da parte di Stati Uniti e Unione Europea, Bachar al-Assad è stato sempre e fedelmente sostenuto in questi quattro anni dalla Russia sia a livello diplomatico al Consiglio di sicurezza dell’ONU sia sul terreno con una, seppur discreta, presenza militare.

Di fronte alla fragilità e agli insuccessi della coalizione internazionale, guidata dagli Stati Uniti e istituita un anno fa per combattere il terrorismo e soprattutto di fronte alla costatazione della progressione e del rafforzamento dello Stato islamico, la Russia, in questi ultimi giorni, ha rafforzato il suo sostegno militare a Bachar e ha inviato alla comunità internazionale il chiaro messaggio che la lotta al terrorismo si può fare solo a fianco dell’esercito del leader siriano, in effetti importante protagonista sul terreno al riguardo. Si potrebbe interpretare questa mossa come un ulteriore passo avanti nella ricerca di un protagonismo russo sulla scena mediorientale ma, nello stesso tempo, fa riflettere a più livelli.

In primo luogo, vista l’infinita tragedia e l’incapacità di porvi un termine, sembra importante esplorare la possibilità di un accordo, fra Russia, Cina, Stati Uniti e Unione Europea che crei le premesse per un negoziato di pace. Gli ostacoli ad una tale prospettiva di accordo sono alquanto significativi e complessi, a partire dal fatto che sia Stati Uniti che Unione Europea dovrebbero rivedere la loro posizione su Bachar el-Assad, sul suo ruolo nonché sulle condizioni della sua uscita di scena. Da parte russa sarà necessario invece accettare che si parli anche di Ucraina. E infine, proprio per far tesoro delle conseguenze che hanno avuto le guerre in Iraq o più recentemente in Libia, una tale prospettiva ha un senso solo se accompagnata da una lucida riflessione a lungo termine sul processo di transizione in vista di un approdo politico che garantisca stabilità, pace e dialogo fra le varie componenti della società siriana, o almeno di quella che rimarrà.

Il Presidente Putin esporrà il suo piano di una nuova alleanza internazionale che includa Bachar al-Assad il prossimo 28 settembre a New York, in occasione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Ma se si tratterà veramente di un possibile spiraglio per la pace in Siria, allora vale la pena di prendere il coraggio a quattro mani e tentare la via delle trattative per un accordo. La pace infatti ha spesso pagato prezzi molto alti.

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