Le democrazie a rischio nel mondo

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È stato pubblicato in questi giorni il rapporto 2021 dell’Istituto Internazionale per la Democrazia e l’Assistenza elettorale (IDEA) di Stoccolma sullo stato globale della democrazia 2021, con il sottotitolo “Costruire la resilienza in un’era di pandemia”. Le prime due righe del rapporto dicono: ”La democrazia è a rischio. La sua sopravvivenza è messa in pericolo da un insieme di minacce e da una marea crescente di autoritarismo (…)”.

Un’introduzione che suona come un forte campanello d’allarme, ma, precisa il rapporto, si tratta di un campanello che vibra da tempo e che la pandemia di Covid 19 ha solo contribuito ad intensificare, in particolare con l’imposizione di misure di emergenza sproporzionate o di limiti ingiustificati alla libertà di stampa e di espressione.

Prendendo in particolare considerazione questi ultimi due anni rispetto alla situazione del 2015, il rapporto sottolinea che, mai come ora, un numero sempre maggiore di Paesi sta soffrendo di “erosione democratica”, ovvero di un declino della democrazia e questo anche in Paesi in cui le democrazie sembravano più stabili. L’analisi dell’Istituto si basa su consolidati indicatori democratici in 160 Paesi, dividendo questi ultimi in tre categorie: democratici, comprese le democrazie in declino, ibridi e autoritari. Gli indicatori fanno riferimento alla rappresentatività del Governo, ai diritti fondamentali, ai controlli sul potere esecutivo, alla partecipazione e al ruolo della società civile, all’imparzialità e alla trasparenza dell’Amministrazione pubblica.

L’attenzione è particolarmente attirata sulla lista di quei Paesi che subiscono un processo di erosione democratica e che ora include potenze geopolitiche ed economiche come Brasile, India e Stati Uniti, entrate per la prima volta nella lista delle “democrazie in declino”. Anche l’Europa si trova sotto i riflettori, con Paesi come Ungheria, Polonia e Slovenia, Paese quest’ultimo che detiene tuttora e fino alla fine dell’anno, la Presidenza dell’UE. La relazione considera che ormai più di un quarto della popolazione mondiale vive in Paesi democraticamente a rischio, percentuale che, sommata a quelli che vivono in regimi ibridi o dittatoriali, rappresenta circa i due terzi della popolazione del Pianeta.

In questo contesto, il 24 novembre scorso, il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha dato seguito ad una promessa fatta in campagna elettorale in fatto soprattutto di politica estera, e cioè la convocazione il 10 e 11 dicembre prossimi di un Vertice per la democrazia, invitando al riguardo, attribuendosi una dubbia legittimazione, 110 Paesi a partecipare in modo virtuale. Con una visione quindi che chiama a raccolta Paesi democratici per far fronte ai regimi autoritari, in particolare di Cina e Russia, il Vertice discuterà soprattutto di lotta alla corruzione e di rispetto dei diritti umani. Interroga tuttavia la lista degli invitati che comprende Paesi non proprio sensibili al rispetto di tali diritti, come Iraq, India, Pakistan, Filippine, Messico o Brasile. In Africa gli inviti sono stati estesi, ad esempio, alla Repubblica del Congo, alla Nigeria e al Niger, mentre in Europa spicca l’invito fatto alla Polonia (e non all’Ungheria), malgrado le tensioni in corso da tempo fra Varsavia e Bruxelles sul rispetto dello stato di diritto. Sono stati esclusi anche la Turchia, membro della NATO e gli storici alleati arabi degli Stati Uniti, come Egitto e Arabia Saudita. È tuttavia l’invito fatto a Taiwan che desta i maggiori interrogativi sui futuri rapporti fra Cina, esclusa dal Vertice, e Stati Uniti, da tempo molto tesi e sui quali anche la posizione della piccola isola pesa in modo significativo.

A conclusione del Vertice, l’obiettivo sarà quello di misurare, dopo un anno e in presenza, i progressi fatti per ridare alla democrazia rispetto e protezione nel mondo.

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