L’apprensione dell’Europa per il voto italiano

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Adesso che il popolo sovrano italiano si è espresso, partecipando o meno alla consultazione elettorale, non è senza interesse rileggere gli atteggiamenti dei responsabili politici degli altri Paesi verso l’Italia, manifestati prima del voto, in attesa dei giudizi che seguiranno.

Prima del voto sono stati molti i messaggi inviati, più o meno esplicitamente, agli elettori italiani. Alcuni, discreti, da oltre-Oceano, altri più invasivi dai governi europei e dalle istituzioni comunitarie.
Più riservati del solito, almeno in pubblico, gli USA. Così è sembrato in particolare Obama, in occasione della visita a Washington del Presidente Napolitano, anche se dietro la prudenza e il rispetto istituzionale era chiaro che cosa non si augurasse la Casa Bianca e quale fosse la speranza americana per un Paese governabile dalle forze riformiste, sinistra compresa.
Più espliciti, talvolta ai limiti dell’ingerenza, gli interventi europei motivati dall’apprensione per un esito elettorale che poteva mettere a rischio la stabilità dell’eurozona, visto le proposte dissennate di Grillo sull’euro, seguito a ruota dalle disinvolte leggerezze di Berlusconi e dalle velleità trasgressive della Lega, coinvolta nella truffa delle “quote latte”.
Particolarmente presente nella campagna elettorale l’ombra lunga della Germania, governata da una coalizione di centro-destra con difficili elezioni in vista a settembre, e comprensibilmente preoccupata per i futuro dei conti pubblici italiani, dopo una campagna elettorale all’insegna di promesse fiscali chiaramente non realiste. Una Germania negli ultimi giorni particolarmente imbarazzata dalle maldestre dichiarazioni di Monti per aggiudicarsene il sostegno con le reazioni che sappiamo.
Non hanno mancato di farsi sentire anche i governi di area socialista esprimendosi ovviamente in favore del centrosinistra italiano, con una ritualità poco impegnativa e tutto sommato abbastanza ininfluente.
Più pesanti sono stati gli interventi delle Istituzioni comunitarie, anch’esse ansiose per quanto sarebbe potuto avvenire in Italia a seguito del voto.
Se si possono tralasciare, per la loro nota irrilevanza, le dichiarazioni del Presidente della Commissione Barroso, non altrettanto si può dire degli interventi del Commissario agli Affari economici Olli Rehn, a più riprese intervenuto in favore del governo italiano uscente e di Mario Monti, e questo nonostante l’atteggiamento, finalmente critico, della Commissione nei confronti delle politiche di rigore senza crescita.
Restano da interpretare altri due interventi istituzionalmente importanti: quelli dei Presidenti del Parlamento europeo e della Banca Centrale Europea (BCE).
Il primo, Martin Schulz, si è espresso contro quel Berlusconi che anni fa lo aveva apostrofato con l’infelice appellativo di “Kapò”, ma che nella sua funzione di Presidente del Parlamento europeo avrebbe potuto essere più riservato, salvo aver visto in quella figura un pericolo per la democrazia parlamentare, purtroppo non il solo.
Di tutt’altra natura l’atteggiamento di Mario Draghi, il Presidente italiano della BCE, che alla vigilia del voto ha fatto conoscere l’entità del nostro debito pubblico sottoscritto dalla BCE (oltre 100 miliardi di euro, poco meno di metà di quanto sottoscritto per tutti i Paesi UE), quasi a ricordare agli elettori italiani quanto già era costata l’Italia all’Europa e come difficilmente si sarebbe potuto proseguire su quella strada. A ben guardare, un messaggio meno esplicito del suo collega Presidente del Parlamento, ma non molto diverso nei contenuti, salvo un’intuibile maggiore vicinanza all’altro Mario, impegnato nella dura contesa elettorale italiana.
Ingerenze, sovranità nazionali calpestate? Tutto sommato non più del solito, con una differenza rispetto al passato: che lo si voglia o no, siamo – ancora, per adesso – nell’UE: nel bene e nel male l’Italia pesa sul futuro dell’Europa ed è normale che l’Europa cerchi di pesare su questo nostro difficile presente che è anche il suo.

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