Una volta le guerre si facevano con le cannoniere, più recentemente con i missili. Adesso, sperando non irrompa il nucleare, continuano con le armi del commercio internazionale.
Ce lo ricorda la vicenda, non nuovissima per la verità, dei dazi autorizzati dall’Organizzazione mondiale del commercio (OMC/WTO) agli USA per rivalersi di aiuti di Stato consentiti dall’Unione Europea al consorzio aeronautico di Airbus, di cui fanno parte Francia, Regno Unito, Germania e Spagna.
Detto così sembrerebbe abbastanza semplice: l’UE è accusata di avere infranto le regole condivise in seno all’OMC sul commercio internazionale e l’Agenzia multilaterale competente in materia ha deciso sanzioni a spese dell’UE per un importo equivalente a 7,5 miliardi di dollari.
In realtà la questione è un po’ più complessa e provare a capire gli elementi essenziali potrebbe non essere inutile.
Cominciamo col chiarire che non si tratta in questo caso di una decisione unilaterale e improvvisa del “cattivo” Donald Trump: la vicenda negoziale dura da quindici anni, è stata avviata dalle precedenti Amministrazioni USA e non ha nulla di unilaterale vista la sede che l’ha decisa.
Per non semplificare nulla va ricordato che da tempo è in corso presso la stessa OMC una denuncia simile ad opera dell’UE contro gli USA a proposito di presunti aiuti di Stato americani per il colosso aeronautico Boeing e si attendono i risultati del negoziato in corso, probabilmente analoghi a quelli relativi a Airbus.
In un mondo più pacifico e nel quale le sedi multilaterali per regolare i contenziosi funzionassero davvero, e non soltanto quando fa comodo alle parti, e a Trump in particolare, si sarebbe potuto trovare preventivamente una compensazione e rimettere la palla al centro.
Il problema di fondo è che viviamo in un mondo sempre meno pacifico, dove crescono le tensioni, si indeboliscono o si rompono le alleanze nell’area occidentale mentre emergono nuove grandi potenze commerciali e il nazional-populismo si mobilita all’insegna miope del “muoia Sansone con i Filistei”, come insegna la caduta dei mercati occidentali, USA compresi. Il pericolo che ne deriva è stato ancora ricordato l’altro giorno dal Presidente Sergio Mattarella quando ha invitato, a proposito di “guerre commerciali”, a puntare il riflettore sul sostantivo più che sull’aggettivo.
In questo clima di conflitto permanente tra le grandi potenze commerciali – e l’UE è ancora la prima al mondo – molti si sono chiesti in Italia perché in questo scontro miliardario tra giganti dell’aeronautica, cui siamo estranei, debbano andarci di mezzo anche il parmigiano e le nostre eccellenze agroalimentari molto apprezzate negli USA ed esposte al rischio di dazi triplicati.
La risposta è nelle responsabilità che gli Stati membri hanno affidato all’Unione Europea, detentrice in materia di commercio internazionale di una competenza esclusiva. Tradotto: nella buona e nella cattiva sorte, l’UE ci rappresenta in solido e tutti sono chiamati a pagarne il prezzo.
Che questo prezzo rischi di essere particolarmente alto per l’Italia è dovuto alla rilevante penetrazione commerciale negli USA delle nostre eccellenze alimentari sulle quali potrebbe esercitarsi il “castigo” di Trump. Ma attenzione: la scelta dei settori da colpire è qui responsabilità diretta dell’Amministrazione USA e anche in questo caso capiremo quanto davvero Trump vuole bene a “Giuseppi” Conte, al suo governo e al nostro Paese, che al momento sembra subire una penalizzazione di 500 milioni di dollari, un quarto di quanto temuto in un primo tempo.
Sarebbe tuttavia coerente con il criterio di solidarietà comunitaria che l’Italia, non coinvolta direttamente nelle infrazioni di Airbus, possa beneficiare di compensazioni all’interno del bilancio UE. E’ quanto il governo si propone di ottenere da Bruxelles, in attesa che l’UE risponda a tono all’”alleato” Trump, nel gioco complesso dei dazi tra Europa, USA e Cina.