La diga sul Nilo al centro di tensioni regionali per l’accesso all’acqua

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E’ stata inaugurata il 10 settembre scorso, in Etiopia, la più grande diga dell’Africa sul Nilo Azzurro, un vitale affluente del Nilo. Un’opera gigantesca, chiamata “Rinascimento etiope”, di 1,8 km di lunghezza e 145 metri di altezza, chiamata a diventare, con i suoi 5000 MW di potenza installata, la più grande opera idroelettrica del continente africano e la settima per importanza nel mondo. 

La sua potenza, infatti, equivale a tre centrali nucleari di media grandezza, è progettata per raddoppiare la produzione nazionale di energia, per generare un surplus destinato all’export verso i Paesi confinanti e per permettere all’insieme dei 135 milioni di etiopi di accedere all’elettricità. Ad oggi, infatti, solo la metà della popolazione gode di tale opportunità.

Come indicato anche dalla sua denominazione, la diga ha, per l’Etiopia, Paese afflitto da tanti conflitti e con buona parte della popolazione che vive sulla soglia di povertà, un forte valore di fierezza nazionale,  un valore economico per rilanciare la crescita del Paese e un valore strategico che posiziona il Paese nella prospettiva di diventare un hub energetico regionale.

A livello territoriale, tuttavia, la diga rappresenta anche un forte rischio di tensioni regionali e internazionali proprio legato alla gestione dell’acqua. I lavori, iniziati nel 2011, facevano seguito ad  un Accordo Cooperativo per l’uso delle acque del Nilo, con l’obiettivo di gestire le risorse idriche  “in modo equo e sostenibile per lo sviluppo della regione”. Firmato da Etiopia, Sud Sudan, Uganda, Tanzania, Rwanda e Repubblica democratica del Congo, tale accordo non fu mai sottoscritto da Egitto e Sudan, i due Paesi più interessati dalla gestione etiope della diga e del suo ingente bacino da 74 miliardi di metri cubi

I due Paesi, infatti, fortemente dipendenti dalle acque del Nilo, hanno sempre accusato l’Etiopia di non aver tenuto conto delle conseguenze in termini agricoli, di elettricità e di riserve idriche a valle del fiume, una preoccupazione sempre più concreta visti i sempre più lunghi periodi di siccità.

L’Egitto in particolare, che dipende per il 97% dal Nilo per il suo approvvigionamento idrico e la cui popolazione vive al 95% (107 milioni di persone) lungo le rive fertili e il delta del fiume, vede nella diga uno spostamento del suo potere in favore dell’Etiopia, cosa che potrebbe rimettere in discussione gli equilibri geopolitici della regione. Al riguardo, il Cairo ha espresso le sue preoccupazioni al Consiglio di sicurezza dell’ONU, denunciando una decisione unilaterale da parte dell’Etiopia che viola il diritto internazionale. Un diritto sulla gestione delle acque che, per l’Egitto, risale all’epoca coloniale con l’accordo del 1929 con la Gran Bretagna. 

Se la regione entra in un periodo di nuove tensioni e rischi di nuovi conflitti, vale la pena ricordare qui che l’inaugurazione della diga ha coinciso, ad Addis Abeba, con l’avvio del secondo Vertice Africano sul clima che aveva come tema principale la cooperazione regionale e la gestione sostenibile delle risorse. 

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