Sono tempi nei quali cresce l’intesa non sempre facile tra i due cugini, dai due lati della frontiera tra Italia e Francia. Ne sono stati segni premonitori la firma a novembre del “Trattato del Quirinale” per rafforzare la cooperazione tra i due Paesi e insieme pesare di più nell’Unione Europea e la lettera a firma di Draghi e Macron, alla vigilia di Natale, per mettere sul tavolo dell’UE alcuni nodi da sciogliere, in particolare per quanto riguarda le future regole del “Patto di stabilità”, cui impedire un ritorno a politiche di austerità.
Da tempo i due governi muovono insieme, anche se con modalità e tempi in parte diversi, nella lotta alla pandemia e nelle misure relative ai vaccini, nel senso di approdare a una qualche forma di obbligo vaccinale prima che sia troppo tardi.
Prima Draghi, già nel luglio scorso, aveva avuto in proposito parole forti, quando ricordò che “l’appello a non vaccinarsi è l’appello a morire”; l’altro giorno gli ha fatto eco, con insolito linguaggio per un Presidente della Repubblica, Emmanuel Macron, promettendo di rendere la vita difficile ai “no vax” (per la verità le parole usate erano più colorite).
Si tratta certamente di convergenze dettate dal senso di responsabilità per chi ha il compito istituzionale di proteggere la salute della comunità, facendo prevalere il valore della solidarietà collettiva rispetto a pretese libertà individuali. Ma nella congiuntura politica che si vive da entrambi i lati della frontiera c’è probabilmente qualcosa di più di una condivisione di buon senso e di rigore.
Entrambi i Paesi sono alla vigilia di elezioni importanti: l’Italia si appresta a eleggere a febbraio il Presidente della Repubblica e andrà nel 2023, se non prima, alle elezioni politiche; la Francia affronterà in primavera le elezioni per la Presidenza della Repubblica che, nella configurazione istituzionale francese, è detentrice anche di responsabilità di governo.
Come dire che in entrambi i casi c’è aria, se non tempesta, di contesa elettorale con tutto quello che ne segue per i due Presidenti. Quello francese sceso in campo con un’intervista che ha tutta l’aria di aprire la campagna elettorale, guardando alla maggioranza dei francesi che hanno risposto positivamente all’invito a vaccinarsi e che Macron considera i veri “cittadini” a differenza di quanti il vaccino hanno rifiutato, collocandosi fuori dal perimetro della “cittadinanza”, tema molto sentito nella Francia fin dalla Rivoluzione.
Più cauto su questo versante il presidente Draghi, alle prese con una maggioranza extra-large, ma in permanenza litigiosa, anche per l’imbarazzante situazione in cui si trova la Lega, vincolata alle decisioni del governo, ma anche in competizione con l’opposizione che la spinge ad ostacolare sistematicamente misure di prevenzione progressivamente più rigorose che, nonostante la concitazione del momento, godono di un largo consenso tra i cittadini, vaccinati ormai a livelli che all’inizio della pandemia era difficile sperare.
Di questi risultati Draghi ha evidenti meriti e con lui le forze politiche che lo sostengono nella linea del rigore, con la prospettiva di guadagnare consenso nelle prossime consultazioni elettorali, come i sondaggi sembrano annunciare.
Viviamo una stagione complessa, nella quale l’orizzonte elettorale provoca da una parte forti tensioni tra i partiti, ma anche progressive convergenze verso un crescente senso di responsabilità: un seme che un giorno potrebbe portare i suoi frutti.