Indice della giustizia sociale in Europa: a rischio i giovani e i lavoratori

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Secondo l’edizione 2016 del Social Justice Index, pubblicato come ogni anno dalla Fondazione Bertelsmann, la giustizia sociale è migliorata nella maggior parte degli Stati UE, dopo che, anche a causa della crisi, tra il 2012 e il 2014 si erano raggiunti un po’ dovunque i livelli più bassi.

«Solo nei prossimi anni – precisano però dalla Fondazione – sapremo se si tratta di una tendenza stabile e di lunga durata o di una dinamica temporanea.

Sicuramente si è arrestata la «tendenza al ribasso» registrata in molti Paesi dal 2008 per quanto riguarda la partecipazione, anche se quasi nessuno degli Stati UE (fanno eccezione Regno Unito, Polonia Lussemburgo, Germania e Repubblica Ceca) raggiunge i livelli pre-crisi.

Cresce ad esempio la partecipazione al mercato del lavoro (i Paesi virtuosi sembrano essere Irlanda e Italia) ma non si può ancora parlare di una vera e propria inversione di tendenza in termini di giustizia sociale perché i segni lasciati dalla crisi soprattutto nel sud dell’Europa (Spagna e Grecia in particolare) sono molto profondi.

Continua invece ad “essere preoccupante” la diffusione della povertà e dell’esclusione sociale: i Paesi nordici (Svezia Finlandia e Danimarca), che pure hanno perso qualche punto rispetto al 2007, confermano di essere quelli socialmente più giusti. Nel gruppo di testa si trovano anche Austria, Germania e Repubblica Ceca, con tassi di rischio di povertà più bassi d’Europa (un po’ in controtendenza la Germania) e che hanno fatto progressi importanti soprattutto in tema di accesso alle cure (Austria) e al mercato del lavoro come accade in Germania dove però la solidarietà intergenerazionale sembra segnare il passo.

Lo scarto tra i Paesi che stanno meglio e gli altri si è ridotto di poco nell’ultimo anno e resta ancora elevato. Il Rapporto registra lo scarso impegno profuso da tutti i Paesi UE in tema di lotta alla discriminazione dei gruppi vulnerabili, rafforzamento della solidarietà intergenerazionale ed equità nella distribuzione del reddito.

Particolarmente allarmante poi, la scoperta secondo la quale un numero sempre crescente di lavoratori a tempo pieno si trova a rischio di povertà ed esclusione sociale.

I lavoratori poveri (working poor) sono oggi circa l’8% della popolazione dell’UE; la loro condizione è causata soprattutto dall’espansione dei settori occupazionali a basso reddito e dalla “dualizzazione” del mercato del lavoro, cioè quel processo di segmentazione visibile in un numero sempre più ampio di Paesi per cui da un lato ci sono i lavoratori garantiti e tutelati e dall’altro tutti gli altri tra cui in particolare i più giovani: la disoccupazione giovanile ha cominciato a ridursi ma resta altissima e lontana dai livelli pre-crisi.

Proprio a minori e giovani il Rapporto dedica un focus specifico sottolineando come per loro si riducano progressivamente le opportunità. Ciò porta con sé non soltanto l’aumentato rischio di povertà ed esclusione a causa della mancanza di opportunità di lavoro e reddito  (in alcuni Paesi è a rischio un giovane su tre), ma anche la rottura della solidarietà intergenerazionale e il dilagare del fenomeno NEET (non in Education, Employment and Training) che nell’UE sono stimati in una quota pari al 17,3% dei giovani ma che in Italia arrivano al 31%.

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