
Mentre Israele prosegue nella distruzione di Gaza, massacrandone la popolazione, con l’obiettivo di occupare la Striscia da Nord a Sud, di annientare, con illusoria strategia, la presenza di Hamas nonché di cancellare la questione palestinese, il Medio Oriente nel suo insieme si trasforma e si ricompone sotto le spinte dei vari conflitti che lo attraversano e del nuovo ruolo geostrategico della regione che emerge a livello globale.
La recente visita del Presidente degli Stati Uniti, finora solido sostenitore di Netanyahu, ai tre Paesi del Golfo, Arabia Saudita, Qatar ed Emirati Arabi Uniti, ha permesso di delineare, con la dovuta prudenza, alcuni fragili interrogativi al riguardo, come ad esempio il futuro rapporto fra Stati Uniti e Israele, il futuro della Palestina, il rapporto Stati Uniti, Siria e Israele, il futuro del nucleare iraniano e del ruolo dell’Iran nella regione, il ruolo delle ricchissime monarchie del Golfo e il futuro degli Accordi di Abramo.
Tutti temi in sospeso che, a seconda della loro evoluzione, ridisegneranno il profilo geopolitico e geoeconomico della regione.
In questo contesto vale la pena rivolgere lo sguardo verso la Turchia e prestare attenzione non solo al suo ruolo e alle sue mire egemoniche nel quadrante mediorientale, ma anche al suo ruolo di mediazione a livello internazionale. Paese di più di 85 milioni di abitanti, la Turchia è geograficamente a cavallo tra l’Europa orientale e l’Asia occidentale. E’ membro della NATO, possiede il più grande esercito del Medio Oriente e il secondo della NATO, dopo quello degli Stati Uniti ed è tuttora Paese candidato all’adesione dell’Unione Europea. Fa parte, inoltre, di quella Comunità politica europea, recentemente riunitasi a Tirana per il suo sesto Vertice sotto il logo “Nuova Europa in un nuovo mondo”.
A livello regionale Ankara sta giocando una partita tutta da scrivere a partire dalle sue relazioni con Israele e alla luce della nuova Siria di Al-Sharaa. Le relazioni tra Turchia e Israele affondano le radici nel lontano 1949, quando Ankara, primo Paese a maggioranza musulmana, riconobbe ufficialmente Israele. Da allora le loro relazioni hanno avuto alti e bassi fino a deteriorarsi fortemente a partire dall’attacco del 7 ottobre e dalla conseguente politica di Netanyahu, non solo nei confronti di Gaza e di Hamas, ma anche per l’insieme dei conflitti accesi che attraversano e disintegrano oggi il Medio Oriente.
Particolari tensioni fra i due Paesi si annidano oggi, dopo la caduta di Bachar al Assad nel dicembre scorso, nella nuova Siria di Al-Sharaa, con la quale Ankara intende tessere rapporti privilegiati e attraverso la quale estendere la sua influenza sulla regione. Una nuova Siria in transizione che Israele non si priva di bombardare per “garantire la sua sicurezza” e con una prospettiva politica ben diversa da quella di Ankara. Infine, non va dimenticato che Donald Trump, durante il suo viaggio nel Golfo, ha colto l’occasione per incontrare il Presidente ad interim siriano, conferendogli legittimità e annullando le sanzioni che ancora pesavano sull’economia e sullo sviluppo sociale della Siria.
Ma la crescente influenza della Turchia si consolida anche con il ruolo di mediazione svolto, in particolare, nella guerra fra Russia e Ucraina. In grado di dialogare, senza imbarazzo, con Mosca e Kiev contemporaneamente, Istanbul ha aperto le porte al primo tentativo di dialogo fra i due Paesi, anche se la speranza di un cessate il fuoco o un possibile percorso di soluzione del conflitto sono ancora molto lontani.