Mentre l’attenzione della comunità internazionale si concentra, da mesi, sui conflitti in corso in Ucraina e in Medio Oriente, altre nubi di guerra si stanno addensando sui Caraibi e in America latina, a partire dalle minacce di Trump su Venezuela e Colombia.
Da settimane, infatti, il Presidente americano sta portando navi da guerra e aerei militari nel Pacifico, con l’obiettivo di lottare contro il traffico di droga, contro il narcoterrorismo, contro le organizzazioni di trafficanti transnazionali e “difendere il territorio nazionale” USA dalle conseguenze di tali traffici criminali.
Al riguardo vanno fatte alcune considerazioni. In primo luogo, interroga l’insistenza di Trump nel designare il Venezuela come incrocio centrale del narcotraffico globale e come una minaccia diretta alla sicurezza degli Stati Uniti. Questo approccio non coincide con il rapporto 2025 dell’ONU contro la droga e il crimine che, pur sottolineando che la produzione globale di cocaina ha raggiunto livelli record nel 2023, segnala che tale sostanza continua a provenire in particolare da Colombia, Perù e Bolivia e che le principali rotte passano dal Pacifico e dall’America centrale, ma lasciano al Venezuela un ruolo minore di transito verso i Caraibi orientali.
Ma tant’è, Trump, ha preso di mira il Venezuela, Paese ricco di petrolio, ha attaccato, senza prove concrete, presunte navi di narcotrafficanti causando vittime e ignorando il diritto internazionale, ha accusato il Presidente Maduro di sostenere i narcotrafficanti e continua a minacciare guerra al Paese. Dietro tali posizioni si nasconde tuttavia un altro obiettivo, meno esplicito, e cioè quello di portare ad un cambiamento di regime dall’interno del Paese, ad un rovesciamento del Presidente Maduro al comando del Paese dal 2013.
Una strategia che comporta forti rischi di destabilizzazione, fra cui flussi migratori, non solo del Venezuela, ma di tutta la regione, visto che nel mirino di Trump si trova anche la Colombia. Una strategia, tuttavia, che porterebbe a ristabilire e a rafforzare un controllo degli Stati Uniti in un’area considerata da sempre strategica e “giardino di casa” di Washington.
L’interesse di Trump per l’America Latina non si ferma tuttavia al Venezuela e alla Colombia. Un atteggiamento completamente diverso si è verificato infatti con l’ Argentina, dove nelle recenti elezioni di metà mandato, la vittoria e la riconferma inaspettate di Milei dopo due anni di Presidenza, è stata possibile anche grazie alla promessa finanziaria del Presidente americano. Una promessa iniziale di un prestito da 20 miliardi di dollari ha acceso infatti le speranze di allontanare lo spettro di crisi finanziarie, valutarie o di credito, crisi che gli argentini hanno già vissuto sulla loro pelle nel passato.
Altro interesse dimostrato da Trump è quello per il Brasile, che continua ad essere sotto pressione per ragioni politiche, con la decisione di dazi doganali al 50%. Il Brasile è già in campagna elettorale per il 2026 con la rinnovata candidatura di Lula e l’ex Presidente Bolsonaro, molto vicino a Trump, a rischio prigione per ventisette anni. Non è difficile immaginare fin da ora i rischi che potrebbe correre il Paese in termini di stabilità politica, ma anche economica e sociale.
Se questo è lo scenario che si sta preparando nelle relazioni fra Stati Uniti e America Latina, non va soprattutto dimenticato che una delle ragioni del nuovo interesse statunitense risiede nell’obiettivo di contenere l’espansione della Cina nella regione, considerando il fatto che Pechino è diventato il primo partner commerciale di molti Paesi. Una ragione per Trump di incrociare con la Cina sfide politiche e sfide di opportunità commerciali nel suo cortile di casa.












