Grandi paradossi nell’Unione del lavoro

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La Commissione europea ha da poco reso pubblico il rapporto “Employment and Social Developments in Europe 2025”, un documento che mette al centro una questione cruciale: 51 milioni di cittadini dell’Unione, in età lavorativa, sono attualmente disoccupati. In particolare, il rapporto individua come barriere principali per questa esclusione il genere, l’età e la cittadinanza e propone politiche mirate per attivare il potenziale finora inespresso.

Secondo la Commissione, oltre 41 milioni delle persone escluse appartengono ai gruppi considerati più vulnerabili: donne, persone anziane e migranti. Le cause sono molteplici: la responsabilità di cura non remunerata, i pensionamenti anticipati, la difficoltà di riconoscimento delle competenze straniere, gli ostacoli amministrativi e i pregiudizi di genere o di età. Inoltre, il rapporto sottolinea un fenomeno emergente: l’underemployment. Circa 2,3 milioni di lavoratori part-time dichiarano di voler impegnarsi a tempo pieno, rivelando un margine di forza lavoro inattiva potenzialmente valorizzabile.

Nonostante queste gravi situazioni strutturali, il contesto generale non è drammatico. Infatti, nel primo trimestre del 2025, l’economia UE ha registrato una crescita dello 0,6% su base trimestrale e dell’1,6% su base annua, mentre l’inflazione è scesa dal 2,8% al 2,4%. Inoltre, nel settore del lavoro, il tasso di occupazione ha raggiunto un record storico del 76,1%, anche se la crescita dell’impiego si è moderata – circa +0,4% annuo –. Questo scenario è indicativo del fatto che l’Unione si muova all’interno di una fase di espansione contenuta, ma che le disuguaglianze strutturali restino un ostacolo evidente alla piena inclusione.

Uno dei contributi più significativi del rapporto è l’orientamento a politiche tarate sull’individuo che tengano conto delle specificità dei diversi gruppi di esclusi. Tra le proposte spiccano:

  1. Potenziare i servizi di cura accessibili per alleggerire i carichi di cura che pesano soprattutto sulle donne;
  2. Introdurre incentivi e misure per una maggiore permanenza attiva nel lavoro anche in età matura;
  3. Semplificare il riconoscimento delle competenze dei migranti, migliorando corsi linguistici e lottando contro le barriere burocratiche;
  4. Promuovere l’assunzione e l’inclusione delle persone disabili attraverso adeguamenti ragionevoli e incentivi diretti;
  5. Rimuovere i disincentivi istituzionali nei sistemi di welfare che ostacolano la transizione verso l’occupazione retribuita.

Il rapporto sottolinea che le misure più efficaci non sono di “una taglia unica”, ma devono essere calibrate sul percorso di ciascuno, integrando ambiti diversi: formazione, politiche sociali, servizi, fiscalità e regolamentazioni.

Per concludere, l’Unione Europea si ritrova a un bivio: sul piano simbolico può vantare un tasso d’occupazione record; ma sul piano sociale la sfida è ben più profonda e implica un ripensamento del modello del lavoro, che deve rompere barriere consolidate e recuperare decine di milioni di persone potenzialmente produttive. Il rapporto, a mio avviso, appare come un invito pressante: non basta crescere, bisogna includere.

Per maggiori informazioni: il rapporto della Commissione

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