Forse qualcuno ricorda ancora il brivido provato nel 1990, al momento dell’unificazione tedesca, riassunta nell’interrogativo se si profilasse nel continente una Germania europea o un’Europa tedesca. Garantiva allora per la prima opzione l’allora Cancelliere Helmut Kohl e nella stessa direzione ci si aspettava che sarebbe andata Angela Merkel, insediata alla Cancelleria di Berlino dal 2005 al 2021, seguita dal passaggio dello scialbo Olaf Scholz dal 2021 al 2025, cui sarebbe succeduto l’attuale Cancelliere Friedrich Merz, democristiano alla guida di una fragile coalizione con i socialdemocratici.
Ad oggi il bilancio, ancora prematuro, sembra inclinare verso il mantenimento di quella opzione ma con scivolamenti da non sottovalutare nel nuovo quadro politico europeo, segnato da due guerre e da una dura contesa con gli Stati Uniti. Con questi ultimi il nuovo Cancelliere era parso determinato a guadagnare autonomia, almeno sul versante militare, molto più cauto nei rapporti commerciali con un’economia in difficoltà e una bilancia commerciale esposta alle correzioni annunciate da Trump.
In relativa continuità con il passato, Merz ha proseguito nel tentativo di fare rivivere l’asse franco-tedesco, ma senza una particolare sintonia con il presidente francese Emmanuel Macron, in un rapporto asimmetrico nel quale la debolezza economica e finanziaria della Francia era in parte compensata dalla forza militare e dall’arma nucleare detenuta da quest’ultima.
La guerra della Russia contro l’Ucraina, con la crisi dell’Alleanza atlantica (NATO), sta rimodellando i rapporti tra i due Paesi, a loro volta alla ricerca di nuove intese con il Regno Unito e, seppure con rilievo minore, con la Polonia. Sono questi i quattro Paesi europei maggiormente esposti nel sostegno all’Ucraina: Francia e Regno Uniti, coordinati sull’eventuale uso dell’arma nucleare, e la Germania che ha rafforzato i suoi rapporti militari con il Regno Unito con la recente firma del “Trattato di Kensington” in materia di difesa, sicurezza e mutua assistenza, non bastandole la protezione attesa nel quadro del “Triangolo di Weimar” con Francia e Polonia.
Stiamo assistendo – e non è una novità – al moltiplicarsi di Trattati bilaterali, in particolare nel quadrato Francia, Germania, Polonia e Regno Unito, con l’Italia ad oggi coinvolta soltanto con la Francia, grazie al Trattato del Quirinale del 2021, e con la Germania con un meno impegnativo e tardivo Piano di azione firmato nel 2023.
Che ne è della Germania dentro questa ragnatela di relazioni e a quale punto la sua opzione comunitaria rispetto a quella di Kohl? E’ presto per una risposta compiuta, ma alcuni segnali non vanno sottovalutati, in particolare su due versanti: quello della spesa militare e quello delle risorse per il bilancio settennale europeo 2028-2034.
Nel primo caso, hanno attirato l’attenzione le dichiarazioni di Merz di voler dare alla Germania “il più forte esercito” europeo, tornando a parlare di leva obbligatoria e investendo risorse straordinarie con centinaia di miliardi di euro, come gli consentono gli ampi margini delle finanze pubbliche tedesche, a differenza degli altri Paesi UE, Francia compresa per non parlare dell’Italia. Un impegno da realizzare in tempi ravvicinati, già entro il 2030, prima della scadenza del 2035 fissata dalla NATO per l’aumento della spesa militare, mantenendo buone relazioni con gli USA e il loro mercato degli armamenti.
Stride con questa straordinaria disponibilità di spesa la dura reazione di Merz alla proposta della sua concittadina e collega di partito, la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, di dotare il bilancio settennale UE 2028-2034 di 2000 miliardi di euro, dotazione giudicata da Berlino “sproporzionata” in un momento di difficoltà finanziarie da parte di molti Paesi UE, con il club dei “Paesi frugali” tornati rapidamente a raccogliersi all’ombra della Cancelleria tedesca.
Ancora niente di drammatico, ma sicuramente una dinamica da tenere d’occhio in particolare da chi crede che una difesa europea debba prevalere sulle difese nazionali e che la coesione dell’Unione debba poter contare su un bilancio comunitario che contrasti le molte tensioni disgreganti.