Dietro i numeri le persone: il lavoro che non c’è

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Tempo di DEF (Documento economia e finanza), tempo di numeri e tempo di previsioni.

Numeri da prendere con le molle perché in questo mondo instabile i numeri ballano e spesso la politica è tentata di giocarci, vendendo promesse e illusioni. Difficile discernere le certezze dalle speranze nel DEF presentato venerdì scorso dal Governo, anche perché è difficile prevedere l’andamento di alcune variabili importanti come quella dell’evoluzione dell’euro sul dollaro – e quindi la variabilità di import-export – e quella del costo del petrolio che sta oggi dando una mano alla crescita in Europa. Senza contare l’incerto esito dell’incognita Grecia, sempre sull’orlo del fallimento, e il risultato delle imminenti (7 maggio) elezioni in Gran Bretagna, che potrebbero avviare quel Paese fuori dall’Unione Europea.

Ma stiamo ai numeri dati dal Governo per l’Italia: una crescita stimata per quest’anno a +0,7% e prevista con un costante aumento superiore, anche se di poco, all’1% nei prossimi quattro anni (del 2% in Europa); una riduzione progressiva del deficit che dovrebbe portare al pareggio di bilancio nel 2018 e una discesa non vertiginosa del debito pubblico stimato per il 2019 al 120% del prodotto interno lordo (PIL), il doppio di quello convenuto con i partner europei e, infine, un decremento del tasso di disoccupazione che dovrebbe ridursi di poco più di due punti, passando dal 12,7% di oggi al 10,5% nel 2019, il doppio abbondante di quella che una volta era considerata una soglia normale della disoccupazione fisiologicamente riassorbibile in tempi brevi. Senza dimenticare che la disoccupazione giovanile continua a viaggiare sopra il 40% .

Su quest’ultimo numero vale la pena soffermarsi, perché di tutti il più negativo e destinato probabilmente a rimanere tale nel tempo.  Vi sono dati recenti, in provenienza da fonti diverse, che non inducono all’ottimismo. Dall’INPS è arrivata un’informazione passata troppo inosservata: dopo tanto parlare in Italia di “Jobs Act”,  i rapporti di lavoro attivati nei primi due mesi del 2015 registrano un saldo quasi zero rispetto a quelli attivati nello stesso periodo del 2014. Quasi zero, perché sono stati ben 13 (!) unità in più, un numero che speriamo porti fortuna agli oltre 3.221.000 disoccupati in Italia.

Completano il quadro gli ultimi dati in provenienza da EUROSTAT, l’Ufficio statistico dell’UE: l’Italia ha un tasso di disoccupazione due punti superiore alla media UE, oltre il doppio di Germania e Gran Bretagna, e può consolarsi solo guardandosi alle spalle, dove Spagna e Grecia hanno un tasso di disoccupazione doppio di quello italiano. Per riassumere, significa che nell’UE la disoccupazione è alta e distribuita in misura per nulla uniforme e che l’Italia resta molto lontana dal gruppo di testa per l’occupazione.

Tutto questo oggi e nell’immediato domani. Resta da chiedersi che cosa avverrà sul lungo termine, con la speranza, come disse Keynes, di non essere allora tutti morti e i milioni di disoccupati sempre disoccupati. In Europa sembra profilarsi una crescita senza, o quasi, incremento di occupazione, con il rischio di dover convivere stabilmente con una disoccupazione del 10%, fatta di giovani e di disoccupati di lunga durata, una fascia di esclusione e di povertà, che si infiltra sempre di più anche tra chi lavora, tra quei “lavoratori poveri” che continuano ad aumentare anche in Europa, come avviene ormai da tempo oltre-oceano.

Difficile amare e sostenere un’Europa così.

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