Diari di guerra – 19: Il Sahel guarda alla Russia

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Si succedono a distanza ravvicinata i colpi di stato in Africa occidentale, in particolare in quella regione del Sahel e dintorni dove da dieci anni a questa parte la sicurezza e la stabilità sono messe a dura prova.  Crescenti violenze jihadiste, terrorismo e traffici illegali di ogni genere si incrociano con enormi fragilità istituzionali, con un progredire dei poteri autoritari e, di conseguenza, con una crisi  totale  dei sistemi sociali e di sviluppo ed enormi sofferenze da parte della popolazione. Non solo, ma queste instabilità si inseriscono in un contesto con esigenze di lotta ai cambiamenti climatici, con una crescita demografica fra la più alte al mondo e con forti livelli di emigrazione.

In questi tempi di guerra in Europa, poca è stata l’attenzione della comunità internazionale, tenuta in sospeso anche da minacce nucleari, nei confronti dell’evoluzione della situazione nei Paesi del Sahel, dove, a distanza di pochi mesi, il 30 settembre scorso, si è consumato in Burkina Faso il secondo colpo di stato, dopo quelli del Mali e della Guinea. Un avvenimento che non ha trovato grande spazio sotto i riflettori dell’attualità, ma che nasconde significativa importanza se considerato anche da un punto di vista della presenza europea e di nuovi attori internazionali sulla scena africana e regionale, in particolare.

Il ritiro definitivo della Francia e degli alleati europei nel febbraio scorso dal Nord del Mali, pochi giorni prima dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, ha delineato infatti, in uno scenario globale in mutamento, una nuova fase per la presenza europea nella regione, considerata fino a poco tempo fa di primaria importanza per la sicurezza dell’Europa stessa. Chiamata in soccorso nel 2012 dall’allora governo maliano per contrastare, in particolare, i gruppi armati legati ad al-Qaeda e al terrorismo, dieci anni dopo la Francia e gli europei lasciano un Paese e una regione in gravi turbolenze di insicurezza e instabilità, di continui attacchi terroristici e di profondi vuoti istituzionali. Situazioni vecchie e nuove,  mai risolte, dove il punto più caldo situato all’incrocio delle frontiere fra Mali, Burkina Faso e Niger si sta rapidamente espandendo ad altri paesi limitrofi della regione. Ciad, Benin, Ghana, Costa d’Avorio e Togo sono infatti sempre più a rischio di instabilità per le incursioni dei militanti jihadisti provenienti dal nord del Sahel. 

La partenza dal Sahel della Francia, spesso identificata con l’insieme dell’Europa, motivata dal deterioramento costante delle relazioni con la giunta militare del Mali, dall’insicurezza e dalla incapacità di gestire  i flussi migratori, ha messo tuttavia in luce due fattori di rilevante importanza: da una parte un inquietante diffondersi nella regione di accesi sentimenti anti-occidentali e, dall’altra, una presenza sempre più significativa della Russia, sostenuta da un crescente sostegno popolare e che si consolida, in particolare, con il progredire della cooperazione militare.

Le immagini giunte dal Burkina Faso di manifestazioni popolari in sostegno al secondo colpo di stato, con slogan e bandiere inneggianti alla Russia e contro la Francia, rivelano la distanza che sta crescendo fra l’Europa e l’Africa. Una tendenza messa chiaramente in luce dall’ombra lunga della guerra in Ucraina, rispetto alla quale molti Paesi africani si sono astenuti dal condannare, all’Assemblea generale dell’ONU, l’invasione russa.

Ma il ritiro della Francia dal Mali ha coinciso anche con la proposta di un rinnovato dialogo che l’Unione Europea vorrebbe intavolare con l’Africa, attraverso quel piano di investimenti da 150 miliardi di Euro (Global Gateway) per rilanciare uno sviluppo sostenibile e far fronte alle  grandi sfide del continente, sfide ambientali, digitali, economiche e sociali, nel rispetto dei diritti fondamentali. Un piano volto a proporre anche quei valori ai quali la Russia, ma anche la Cina, non si sentono vincolate. Una grande sfida per l’Europa e per l’Africa, dove le ferite del passato non si sono mai rimarginate.

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