Democrazia in affanno nell’Unione Europea

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Di Unione Europea e di Grecia molto – e di tutto – si è detto in questa prima metà dell’anno e molto ancora si dirà nei prossimi mesi e anni. Su una cosa almeno sono tutti d’accordo: il problema greco è tutt’altro che risolto, il terzo piano di aiuto di quasi 90 miliardi di euro servirà a tirare il fiato e, si spera, a realizzare qualche riforma in un Paese economicamente alla deriva, ma non potrà consentire il rientro auspicato per l’enorme debito pubblico cumulato. Sul tema, due voci si sono espresse in favore di un alleggerimento di questo debito, il Fondo monetario internazionale (FMI), non certo per generosità, e la Banca centrale europea (BCE), preoccupata di dover fare i conti con una zavorra che può tornare a minacciare l’euro. Non ne vuole sapere per ora la Germania, che pure di una sostanziosa riduzione del suo debito aveva beneficiato nel 1953: l’ossessione delle “regole” fa velo anche al buon senso, sempre che l’obiettivo non resti quello dell’espulsione della Grecia dalla zona euro, almeno per cinque anni, probabilmente per molto di più.

Di tutto questo si continuerà a parlare, mentre altri temi importanti occupano le Istituzioni europee che sarebbe un errore criticare per una loro presunta inattività, al limite piuttosto per un’attività poco visibile ai cittadini, nel timore che a troppo coinvolgerli possa aumentare la loro disaffezione rispetto a una Unione nella quale si riconoscono sempre meno.

Aiuta ad alzare il velo su questa Unione sconosciuta quanto avvenuto nell’ultima sessione plenaria del Parlamento europeo a Strasburgo. Mentre gran parte dei media si accanivano sulla questione greca, non proprio con grande imparzialità, preoccupati com’erano di non irritare le opinioni pubbliche nazionali, il Parlamento ha votato a larga maggioranza una risoluzione favorevole alla prosecuzione del negoziato del TTIP (Partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti), mettendo in gran parte a tacere le molti voci critiche su tale Trattato, destinato a creare un “mercato unico” (e con regole comuni) tra l’Unione Europea e Stati Uniti.

Sulla questione greca il nodo centrale della contesa è diventato presto, com’era giusto, il tema della democrazia: quella greca, rafforzata – almeno così sperava Tsipras – da un referendum popolare e quella incompiuta dell’UE, dove erano chiamati ad assumersi le loro responsabilità soggetti con legittimità democratiche diverse, e per lo più indirette, sulla scena europea. La fragile legittimità democratica, appena conquistata dal Presidente della Commissione, e quella più diretta del Parlamento europeo hanno pesato relativamente poco nel negoziato; di più hanno pesato la BCE e il FMI e, alla fine, il Consiglio europeo dei Capi di Stato e di governo, legittimati dai rispettivi elettorati nazionali, ma privi di una formale legittimazione diretta di dimensione europea.

Il tema della democrazia avrebbe anche dovuto essere al centro del negoziato del TTIP. “Avrebbe”, ma così non è stato se si considera la quasi totale assenza dal dibattito pubblico di una futura politica commerciale destinata a cambiare molta parte della nostra vita futura, forse con qualche vantaggio economico per qualcuno, ma con pesanti ricadute per tutti sulla politica sociale, ambientale e la protezione dei consumatori. È vero che a Strasburgo la sinistra dell’emiciclo ha cercato di frenare la corsa del negoziato e che il Partito socialista europeo ha imposto qualche cautela in più sull’arbitrato internazionale in caso di contenzioso tra le parti, ma di coinvolgimento democratico se ne è visto poco. E ha un bel dire l’on. Alessia Mosca, europarlamentare del PD, in una sua lettera al Corriere della Sera di domenica scorsa, che questo Trattato “non si traduce in un assegno in bianco poiché abbiamo a cuore il rafforzamento di ciò che in Europa abbiamo ottenuto in termini di diritti dei lavoratori, di tutela dell’ambiente e dei consumatori, di valorizzazione delle specificità culturali”, concludendo con un generoso ringraziamento al quotidiano milanese, noto organo dei lavoratori italiani, per aver promosso un contesto culturale favorevole al negoziato in corso.

L’assegno di cui parla l’europarlamentare del PD non sarà in bianco – i Trattati non lo sono mai – ma già sappiamo chi sarà chiamato a pagarlo.

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