La stagione che il mondo sta vivendo è difficile e l’Unione Europea non fa eccezione. Nei notiziari si alternano brutte notizie sull’evoluzione della pandemia con alcuni pochi elementi di fiducia nel futuro immediato, qualche speranza quando ci sarà il vaccino.
Qualcosa del genere sta succedendo anche nell’UE, con elementi di speranza e qualche motivo di preoccupazione, come sembra di capire da due notizie del 21 ottobre, la prima in arrivo da Bruxelles e la seconda da Berlino.
Da Bruxelles è arrivata la notizia della risposta dei mercati finanziari internazionali al debito acceso dall’UE per intervenire a favore del programma SURE, con una dotazione di 100 miliardi di euro a sostegno delle casse integrazioni europee. E’ stata l’occasione per testare la fiducia dei mercati nell’operazione di lancio degli “eurobond”, strumenti finanziari finalmente consentiti, seppure eccezionalmente, dalla Germania dopo un lungo periodo di resistenza. E’ di buon auspicio che i primi ad essere premiati siano stati i “bond” a impatto sociale ed è curioso che la richiesta di gran lunga maggiore (pari al 45% del totale) sia venuta dal Regno Unito. Questa storica apertura per l’Unione europea, se sviluppata nel tempo, contribuirà a dare slancio all’impresa comunitaria e a porre le basi per la futura Unione politica di orientamento federale.
La Commissione europea puntava a raccogliere prestiti per 13 miliardi di euro, ma a fronte di una domanda di 233 miliardi ha alzato la soglia a 17, ottenendo per gli investitori prestiti a interesse molto contenuto e contribuendo contemporaneamente a raffreddare il famigerato “spread” e ridurne i relativi costi.
La prima “prova fiducia” nei confronti dell’UE – e della sua solvibilità – ha superato largamente le attese e lascia pensare che l’insieme del complesso montaggio finanziario a sostegno del Recovery Fund – il Piano europeo per la ripresa – potrà avvalersi in futuro dell’affidabilità dell’Unione, con la garanzia della BCE alle spalle e quando muove compatta e solidale, come in occasione della decisione del Consiglio europeo del 21 luglio scorso.
A questa notizia ne fa eco un’altra meno buona in provenienza dalla Germania, da Jens Weidmann, governatore della Bundesbank – la Banca centrale tedesca – che ritorna su vecchie resistenze tedesche, non superate del tutto nonostante i ripetuti pronunciamenti della Corte costituzionale tedesca in favore della Banca centrale europea (BCE), a proposito di queste forme di solidarietà. In questo caso torna ad essere presa di mira la BCE e la sua politica monetaria espansiva, inaugurata da Mario Draghi e ripresa con forza dalla nuova presidente, Christine Lagarde. Quanto basta a far capire che anche all’interno della BCE non tutto è tranquillo. E’ probabile che questo ritorno del “falco” Weidmann sia legato a recenti dichiarazioni della Lagarde a proposito del Recovery Fund: secondo la presidente della BCE “dovremmo discutere della sua possibile permanenza nella scatola degli strumenti europei…Spero che possa esserci un dibattito su uno strumento di bilancio comune della zona euro che tragga insegnamento da quello che succede oggi”. Per la verità la Lagarde si era spinta anche oltre evocando la possibilità di legare gli acquisti delle obbligazioni delle imprese a criteri ambientali, quasi un’invasione di campo della BCE rispetto al perimetro delle competenze dei governi europei.
Due lezioni da trarre da queste alterne notizie sul futuro dell’Unione. Da una parte la fiducia dei mercati internazionali nei confronti dell’UE e il delinearsi di una prospettiva di permanenza di questi nuovi strumenti finanziari, attivati a fronte di un’emergenza eccezionale come la pandemia; dall’altra, le rigidità tedesche che testimoniano di un clima non facile per Angela Merkel, impegnata in una svolta politica UE che non può fare a meno di un forte sostegno della Germania.
Come dire che la strada della solidarietà europea, nonostante una buona partenza, è ancora tutta in salita.
Grazie a Franco Chittolina per le sue analisi, come sempre accurate, pacate e istruttive