I vincoli di quel Patto di stabilità – denunciato a suo tempo come Patto di “stupidità” da un Prodi insolitamente audace – sembrano allentarsi almeno un po’ per l’Italia in recessione e con la disoccupazione che continua a crescere.
Quando, all’inizio degli anni ’90, il Trattato di Maastricht fissò le condizioni per l’ingresso nell’euro a qualcuno venne il sospetto che mirassero a escludere l’Italia dalla moneta unica. Il nostro governo di allora fece ricorso alla credibilità di alcuni suoi componenti – Ciampi e Carli in particolare – per negoziare formulazioni del Trattato che non impedissero all’Italia di adottare l’euro. Questo valse soprattutto per il livello tollerabile di debito pubblico – in seguito non rispettato dall’Italia e tuttavia tollerato dall’UE – ma non modificò la soglia del deficit al 3% sul PIL. Una soglia che venne diversamente interpretata – e trasgredita da alcuni Paesi, tra i quali Germania e Francia – e riproposta con enfasi in questa stagione di crisi, senza peraltro che fosse rispettata da tutti i Paesi dell’eurozona, tra i quali ancora oggi dalla Francia.
E’ così che il vincolo del 3% ha contribuito a inchiodare l’Italia nella sua paralisi economica e sociale e ad adottare misure di rigore che stanno stremando il Paese. È quindi comprensibile che l’Italia a Bruxelles, raccolta l’eredità del governo Monti, abbia da tempo fatto leva sulla ritrovata disciplina di bilancio per chiedere qualche margine di flessibilità, concessi con prudenza e non pochi “paletti” da Bruxelles.
Che cosa potrebbe cambiare per l’Italia e quando? Nell’immediato poca cosa: praticamente nessuna conseguenza operativa fino al 2014, quando alcune misure di sostegno all’economia potranno andare a regime e stimolare qualche fremito di crescita che, con ammirevole ottimismo, il ministro Saccomanni intravede già per fine 2013. Speriamo ci veda bene, anche se si tratta di una valutazione non proprio largamente condivisa.
Quanto alle nuove risorse disponibili non dovranno comunque contribuire a sforare, se non temporaneamente, la “sacra soglia” del 3%, ma potrebbero nel 2014 aggirarsi attorno ai 7/8 miliardi di euro da utilizzare per investimenti produttivi (e non per la spesa corrente) con il cofinanziamento dei Fondi strutturali del bilancio 2007-2013, attivati ad oggi solo per il 40%, con un residuo margine di spesa di circa 30 miliardi di euro. Da non dimenticare tuttavia che si tratta di risorse europee che devono essere integrate con equivalenti risorse italiane, oggi difficili da trovare.
Al di là della complicazione e aridità dei numeri, vanno salutate con favore le prudenti aperture di Bruxelles, prese con l’indispensabile consenso della Germania. Anche questo un segnale interessante che, a qualcuno, sembra annunciare una tonalità diversa nelle posizioni della Merkel stretta, alla vigilia delle elezioni di settembre, tra le pressioni della sua attuale maggioranza di ispirazione “rigorista” e le critiche aspre di un’opposizione più attenta alle esigenze – anche economiche – della solidarietà europea.
Queste modeste concessioni di flessibilità, in parte ancora da chiarire, traducono anche i timori che si vanno diffondendo nell’UE in vista delle elezioni europee dell’anno prossimo e non è certo quello che sta avvenendo in Portogallo e Grecia in questi giorni che può rassicurare su un esito elettorale favorevole al futuro sviluppo dell’integrazione comunitaria.