Sono questi tempi in cui ci vuole coraggio: per non rassegnarsi, per continuare a sperare, per tornare a costruire insieme il mondo di domani, sollevandolo dalle macerie sotto le quali molte sue regioni rischiano di soccombere.
Vale anche per l’Europa, nelle sue diverse configurazioni: quella geografica, più ampia e frammentata, di cui l’Ucraina fa parte e quella più integrata economicamente, come l’Unione Europea, in strada verso nuovi allargamenti, dai Balcani alla Moldavia e all’Ucraina.
Queste due Europe si sono date appuntamento in Danimarca a inizio ottobre, non lontano dal confine con la Russia, in due Vertici: il primo, quello informale dei Ventisette Paesi UE; il secondo, quello della Comunità politica europea, una piattaforma/forum di confronto e consultazione periodica che riunisce 47 Paesi europei, compresi i Paesi UE.
I due incontri si affacciavano sui conflitti in corso, in particolare quello israelo-palestinese e quello della Russia contro l’Ucraina, in un contesto politico internazionale segnato dal protagonismo “imperiale” del presidente degli Stati Uniti, con tutte le contraddizioni e le ambiguità che lo caratterizzano.
Il Consiglio europeo dei 27 Capi di Stato e di governo era di natura informale, in attesa di quello ufficiale che si terrà a fine ottobre, dedicato più a uno scambio di valutazioni politiche all’indomani del Piano di pace presentato da Trump il 29 settembre, senza dimenticare gli allarmi suscitati da incursioni aeree nello spazio dell’Unione Europea ai suoi confini orientali.
In attesa di meglio apprezzare la reale portata del piano di pace di Trump e le reazioni dei contendenti sul campo, il Consiglio europeo si è concentrato sulle difese da adottare nel contesto della guerra in Ucraina e sulle minacce ai Paesi UE, in particolare quelli collocati nelle vicinanze della Russia. Tra i temi principali quelli delle misure da attivare nei confronti delle intrusioni dei droni e l’uso eventuale dei capitali russi congelati nelle banche europee, senza ancora un accordo in vista.
Inevitabilmente ancora poco operativo il Vertice allargato ai 47 Paesi della Comunità politica europea, dove però ha pesato l’esito positivo del voto in Moldavia, che potrebbe incoraggiare l’Unione Europea ad aprire le sue porte ad altri Paesi, oltre Balcani ed Ucraina, tra questi Norvegia e Islanda e, un giorno, con il Regno Unito.
Mentre un pezzo importante d’Europa si prepara ad allargarsi, pezzi minori al suo interno stanno scivolandone progressivamente fuori su un piano politico inclinato: è il caso, con l’Ungheria e la Slovacchia, anche della Repubblica ceca che, dopo le elezioni di sabato scorso ha scelto di allontanarsi da Bruxelles e guardare con qualche simpatia a Mosca, ricostituendo così il gruppo di Visegrad, oggi senza la Polonia di Donald Tusk.
Tutto questo senza dimenticare la mina vagante della profonda crisi politica francese e il rischio che il suo alto potenziale esplosivo si riversi sull’UE, con uno dei suoi più importanti Paesi fondatori recidivo a minarne gli sviluppi come accadde con l’affossamento nel 1954 della Comunità europea della difesa (CED) e nel 2005 del Progetto di Costituzione europea.
E’ venuto il momento, ed è adesso, di vedere al di là dell’albero UE, che resiste nella tempesta, le opportunità di una foresta che cresce e che, a condizione di affrontare necessarie riforme come l’allentamento del voto all’unanimità, potrebbe irrobustire la futura Unione Europea, già oggi una grande potenza economica e commerciale, forte di una storia culturale e sociale guardata con apprezzamento e speranza da molti nel mondo, mentre si va pericolosamente deteriorando la convivenza democratica negli Stati Uniti, sempre meno un faro di civiltà e di progresso umano.
Per l’Europa è l’occasione per smettere di piangersi addosso, di trastullarsi con il gioco dell’oca di piccoli staterelli, esaltati come “Nazioni”, che alla fine ritornano regolarmente alla casella di partenza, ostacolando il processo di integrazione politica.
L’Unione Europea ha la forza per scendere in campo e giocare la sua partita con orgoglio e coraggio, a patto che prevalga il gioco di squadra e che, anche se con numeri e ruoli diversi, tutti indossino la stessa maglia, convinti che solo insieme si vince.