La frontiera in mare: un altro naufragio davanti a Lampedusa

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Rieccoci qui, più o meno negli stessi giorni della strage di Lampedusa (3 ottobre 2013) a commentare un altro naufragio e a piangere altri morti in mare
La notizia, le immagini dei corpi senza nome (13 donne e 8 bambini) e le testimonianze dei sopravvissuti stanno scatenando frasi in libertà di quelle «legioni di imbecilli» a cui, come diceva Umberto Eco, i social hanno dato la parola … e di questi certamente nemmeno vale la pena di dire più di tanto, se non altro per non dilatare quel “quarto d’ora di celebrità” che pensano di avere trovato usando termini del tutto inappropriati e inopportuni, di fronte alla morte di esseri umani che stanno cercando di esercitare un diritto che per noi cittadini dell’UE è acquisito e intoccabile: il diritto a spostarsi, a muoversi, a migrare, come fanno tutti i viventi, non solo gli umani.

Ci sono poi, vivaddio, le reazioni di chi ancora si indigna, in primis l’arcivescovo di Agrigento, Monsignor Francesco Montenegro: «affrontare questi problemi vuol dire perdere popolarità e allora noi, pur di restare a galla, preferiamo che gli altri affondino» ha detto prima di recarsi in «pellegrinaggio presso i corpi dei fratelli morti in mare», aggiungendo anche la sua amarezza nei confronti di un’Europa che « non è capace di accogliere e che da anni discute dicendo che le cose cambieranno. Sì, le cose cambieranno: i numeri dei morti cambia ma le cose restano». Tra le voci indignate anche quella di Pietro Bartolo, il medico lampedusano che ha speso anni della sua vita a curare e raccogliere corpi e che, polemicamente chiede a chi definisce «invasori» le donne e i bambini morti in mare se sia contento» dell’accaduto.

Ci sono, infine, le menzogne di chi ci sta raccontando che questa strage è la «strage dei porti aperti», come se davvero i porti prima fossero stati chiusi e adesso, con il cambio del governo italiano e del ministro degli Interni, fosse ripresa la «deriva buonista» che porterà sulle nostre coste frotte di invasori pronti a portarci via ciò che abbiamo di più caro.

Peccato che le cose non stanno così ! I porti non sono mai stati chiusi, perché negli atti del primo governo Conte non c’è traccia di un’ordinanza del ministro dei Trasporti che è il solo che avrebbe potuto chiudere i porti, mentre sui media un altro ministro di quello stesso governo sbraitava sguaiatamente che «i porti sono chiusi» e che «non passeranno».

Per fortuna quelle parole non hanno ancora la validità di documenti istituzionali e di atti ufficiali, ma hanno consentito all’Italia che ha tenuto in “ostaggio” le navi delle ONG (mentre i cosiddetti sbarchi fantasma sono continuati imperterriti) di guadagnarsi il ruolo di “osservato speciale” in tema di violazione dei diritti umani e del diritto internazionale.

Mentre tutto questo accade, al di là e al di sopra di noi “comuni cittadini”, per fortuna, qualcuno si sta chiedendo «che cosa si può fare per evitare tutto questo?». Se lo sono chiesti, ad esempio, molti dei ragazzi che nelle scuole di Cuneo hanno visto insieme a noi “Sopravvissuti, racconto di una nuova odissea, azione scenica di e con Daniel Delministro”.

Noi a quella domanda abbiamo provato a rispondere, insieme a Daniel, e abbiamo detto che ci sono cose che possiamo fare noi: ad esempio non alimentando il clima di odio, non facendoci prendere dalla paura su cui qualcuno fa leva per effimere ragioni di popolarità e di consenso.

Abbiamo però anche provato a parlare delle responsabilità delle politiche nazionali prima ancora che europee in tema di frontiere e gestione dei flussi.

Abbiamo detto, ad esempio, che per evitare le morti alle frontiere della fortezza Europa basterebbe permettere a chi tenta di entravi di accedere legalmente e di andare dove vuole, in fondo noi cittadini europei possiamo farlo …. Perché gli altri no

Abbiamo detto che, visto che i viventi si spostano e che «i corpi si rassegnano e partono» anche quando le menti sanno che è pericoloso e che il rischio è quello di non arrivare, forse sarebbe necessario permettere a chi vuole partire di chiedere il visto all’ambasciata di uno Stato europeo nel suo Paese … anche questo, noi cittadini europei possiamo, anzi dobbiamo farlo … perchè gli altri no?

E mentre l’Unione Europea riparte da Malta e cerca una strada comune per affrontare il problema, interrogandosi oggi sul fatto che quello firmato a Malta sia o non sia un vero accordo, sorprende pensare che ogni Paese sarebbe libero di consentire ai cittadini di Stati terzi di chiedere il visto nelle ambasciate di Paesi UE sparse per il mondo … Non ci sarebbe bisogno di trovare un accordo a 28 o 27 che siano.

E chi ha in mano un visto può andare a comprare un biglietto aereo (che costa meno di un passaggio per mare) e varcare i bastioni della fortezza Europa senza mettere a rischio la propria vita

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