Alta tensione tra Roma e Bruxelles

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Se si guarda la lista dei nodi da sciogliere in tempi brevi tra Roma e Bruxelles si possono comprendere, senza necessariamente giustificarli, i nervosismi all’interno della maggioranza di governo che, per una volta compatta nelle sue diverse componenti, ha preso a bersaglio la Commissione europea, in particolare nella persona dell’ex-presidente del Consiglio italiano e adesso nella persona del Commissario europeo, il mite Paolo Gentiloni.

È difficile valutare quale sia il calcolo politico in vista di ottenere risposte europee più favorevoli delle attuali, prevalendo anzi il dubbio che queste sorprendenti polemiche non aiutino l’Italia nella difficile congiuntura in cui è intrappolata. Sorprendono di meno questi nervosismi se riferiti alla competizione interna alla maggioranza in vista delle elezioni europee del prossimo di giugno, in particolare all’indomani delle recenti previsioni economiche rese pubbliche l’11 settembre proprio dalla Commissione a fronte delle mirabolanti promesse elettorali del settembre scorso: non proprio un favorevole viatico per proteggere il consenso ottenuto nelle elezioni politiche italiane.

Percorriamo allora, sullo sfondo della campagna elettorale in corso, una lista sommaria dei nodi che alimentano le tensioni tra Roma e Bruxelles, concentrate su complessi dossier economici e finanziari.

Cominciamo con quel “nodo scorsoio” che potrebbe diventare, per il futuro delle finanze pubbliche e dell’economia italiana, col rischio di strangolarle, il Patto di stabilità e di crescita in corso di negoziato, destinato a vincolare i margini di bilancio dei Paesi UE. Comunque vada, rischia di andare male se il nuovo Patto di stabilità non venisse concordato entro l’anno e tornasse quindi in vigore il vecchio Patto, sospeso nel 2020, con le rigidità di cui ha un triste ricordo la Grecia. 

Dal nuovo Patto l’Italia si aspetta più flessibilità, evitando di essere identificata dai mercati come il “malato finanziario UE”, con il suo massiccio debito di 2800 miliardi di euro dal quale le si chiede di rientrare in tempi non biblici. Da qui dipenderanno gli stretti margini disponibili per la legge di bilancio 2024 – quella con cui si andrà alle elezioni – con le poche risorse disponibili, nonostante il versamento di 18,5 miliardi di euro atteso da sei mesi e in arrivo a ottobre per il “Piano di ripresa e resilienza” (PNRR) e quello sperato entro fine anno di altri 16,5 miliardi.

Per complicare le cose a tutto questo si aggiunge la richiesta di Bruxelles ai Paesi membri di sborsare 66 miliardi per integrare il bilancio comunitario 2021-2027 per far fronte alle emergenze, in particolare per la solidarietà all’Ucraina in un momento in cui le casse italiane piangono.

Una speranza viene dal PNRR, a patto che l’Italia convinca Bruxelles non solo sulla sua capacità di realizzare gli investimenti previsti in conformità agli impegni presi (e in corso di revisione) ma anche sulla serietà nell’affrontare le riforme previste e da sempre rimandate, fin dal tempo del governo Monti nel decennio scorso.

Come se non bastasse incombe sull’Italia la spada di Damocle della ratifica del “Meccanismo europeo di stabilità” (MES) che, approvato da tutti gli altri Paesi da tempo, non può entrare in vigore senza la risposta favorevole del Parlamento italiano: nell’attesa restano a rischio interventi in caso di crisi bancarie.

Per finire, e fare buon peso, l’Italia è aspettata al varco per alcuni provvedimenti di politica ambientale sul tavolo di Bruxelles entro fine anno: tra questi, la performance energetica degli edifici che comporterà costi importanti, il nuovo regolamento sugli imballaggi che favorisce il riuso invece del riciclo e la fine dei motori a combustione entro il 2035.

Come sorprendersi se, con una lista così di problemi, a qualcuno a Roma sia slittata la frizione, con il rischio di andare a ancora una volta a sbattere?

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