Era l’ultima occasione dell’anno per i Capi di Stato e di governo europei riuniti nel Consiglio europeo a Bruxelles la settimana scorsa. C’era motivo di sperare che dopo il dramma degli attentati terroristici a Parigi di novembre e i brividi provati in occasione della vicenda elettorale francese, dopo il perdurare della crisi mediorientale con la pericolosa tensione tra Russia e Turchia, l’irrisolta questione della riallocazione dei migranti nell’Unione Europea e la prospettiva della minacciata uscita del Regno Unito dall’UE, la saggezza finalmente prevalesse e si trovassero soluzioni condivise, anche se solo parziali o provvisorie.
Purtroppo non è andata così. A Bruxelles sono volati gli stracci, con toni inusuali in quei Palazzi. Si è particolarmente distinto in questo esercizio il nostro Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, che ha colto l’occasione per ricordare a tutti, e alla Germania in particolare, le politiche dei due pesi e delle due misure a seconda del potere che alcuni Paesi esercitano in ambito comunitario. Un messaggio inviato senza tanti complimenti alla Cancelliera tedesca alla quale Renzi ha ricordato come la Germania non abbia dato il sangue per l’Europa.
Le divergenze sul tavolo erano molte, dal contenzioso aperto sull’unione bancaria europea all’auspicata revisione delle sanzioni alla Russia, con le collegate scelte in materia di approvvigionamento energetico; dall’avvio dell’esame delle richieste britanniche per rimanere nell’UE fino al tema caldo dei migranti, del loro controllo alle frontiere esterne dell’UE e della loro redistribuzione all’interno dell’UE.
Sul versante delle banche si trascina da tempo il completamento dell’unione bancaria: manca all’appello l’intesa sulla garanzia sui depositi in caso di fallimento, una misura sollecitata dalla Banca centrale europea ma non gradita alla Germania che teme di dover pagare un conto troppo alto per le banche altrui e che già aveva preteso, e ottenuto, che dalla sorveglianza della Banca centrale europea venissero esentate le banche regionali tedesche, tra tutte quelle più a rischio in Germania.
Ma è sul tema dei migranti che la tensione è salita: Matteo Renzi aveva qualche buona ragione per non incassare senza rispondere la decisione della Commissione – attribuita alle pressioni tedesche – di dichiarare in infrazione l’Italia, insieme con la Grecia, per non aver identificato con rigore i migranti giunti sul proprio territorio, che è anche territorio europeo. Alle difficoltà, ricordate da Renzi, di procedere a tale controllo nelle condizioni di permanente emergenza rappresentata dai continui drammatici sbarchi veniva opposto il sospetto – se non addirittura l’accusa – che tale inadempienza fosse motivata dalla volontà di liberarsi dei migranti non identificati, consentendogli di muoversi liberamente verso altri Paesi dell’UE, in contrasto con quanto prevede attualmente l’Accordo di Dublino. E sull’argomento aveva buon gioco Renzi a ricordare ai suoi accusatori che dopo mesi dalla decisione di ridistribuire sul territorio europeo 160.000 migranti, appena 200 erano stati collocati e che tutti gli accordi andavano rispettati.
Così il tema drammatico dei flussi migratori veniva deviato verso un mini-vertice con una decina di Paesi, con la partecipazione della Turchia – assente l’Italia – e rinviata a giugno prossimo la proposta della Commissione di creare una polizia europea di frontiera, misura sicuramente problematica ma anche un modo per proteggere Schengen e temperare le rigidità delle sovranità nazionali, ancora ossessionate dalla mitica difesa del “patrio suolo”.
I media italiani, soli in Europa, hanno molto enfatizzato il presunto duello Renzi-Merkel, chiedendosi se l’Italia abbia usato toni opportuni e soprattutto utili per l’Italia e per l’Europa. E’ difficile escludere che alcuni toni di Renzi rispondano a esigenze di politica interna, in un momento di leadership a rischio di appannamento: è regola antica della politica portare l’attenzione sul nemico per fare velo alle difficoltà interne di un Paese. Ma questo non spiega tutto: Renzi aveva dalla sua alcune buone ragioni e ha cercato di farle valere, anche alzando la voce, come è suo costume, e sollevando critiche fondate sulla lentezza con cui si muove l’Europa e su un’interpretazione “surreale” di regole pur convenute. Resta il fatto che l’Italia, da tempo ”sotto schiaffo” in Europa, non può per questo prendere a schiaffi proprio la Germania, che dell’Europa è il Paese leader, del quale l’Italia ha bisogno se vuole contare nell’UE e muoversi verso un’Unione politica come sarebbe nella nostra tradizione europeista e nelle dichiarazioni, pur altalenanti e non prive di contraddizioni, della Germania.