Aiuti UE al popolo palestinese

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Il conflitto israelo-palestinese, riesploso con l’attacco terroristico di Hamas il 7 ottobre, ha alimentato tensioni non solo in Medioriente, ma anche in molte altre parti del mondo e, in particolare, in seno all’Unione Europea, concentrando prevalentemente l’attenzione sui movimenti militari delle due parti e tradendo una frammentazione politica sull’atteggiamento da assumere verso Israele, una volta condannato all’unanimità senza riserve il terrorismo.

Non sorprende quindi che siano rimasti in un cono d’ombra altri aspetti della vicenda e tra questi il quadro del sostegno dell’Unione Europea alla Palestina, a partire dagli accordi di Oslo del 1993 con l’obiettivo di accompagnare il processo di pace con Israele, per poi puntare al rafforzamento dello Stato di diritto, al rispetto dei diritti umani e per promuovere uno sviluppo sostenibile.

Si tratta di un progetto sicuramente generoso ma ostacolato da più parti e lungi di essere vicino al traguardo, che resta per l’UE quello di “Due popoli, due Stati” per salvaguardare la pace nella regione, andata drammaticamente in pezzi con il conflitto in corso.

Intanto va precisato che da quando nel 2007 Hamas, considerata dall’UE organizzazione terroristica, ha preso il controllo di Gaza gli aiuti dell’UE sono stati dirottati verso la Cisgiordania. Ad oggi il “Gruppo Europa” (composto dall’UE, i suoi Paesi membri, la Banca europea investimenti e la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo) risulta il primo donatore di aiuti allo sviluppo al mondo: la Palestina ne riceve per 1,2 miliardi di euro all’anno, dei quali 300 milioni dalla sola Unione Europea, con l’impegno appena preso di triplicare gli interventi umanitari per Gaza facendoli passare dagli attuali 28 a 78 milioni di euro.

Queste risorse, importanti anche se insufficienti rispetto ai bisogni di una popolazione vittima di violenze e oppressione da decenni, sono destinate prioritariamente a sostenere l’Amministrazione pubblica in Cisgiordania, in particolare il personale sanitario e gli insegnanti e, attraverso le agenzie ONU, a soddisfare i bisogni essenziali della popolazione in materia di educazione, salute, alimentazione e abitazioni.

Nella catastrofe umanitaria in corso questi numeri rappresentano una goccia nel mare, ma testimoniano di una politica europea fedele ai suoi valori di solidarietà e di rispetto dei diritti, facendo prevalere il “potere leggero” delle regole e del dialogo sul “potere forte” degli apparati di repressione e degli eserciti, responsabili di una spirale bellica che rischia di andare fuori controllo – se già non sta avvenendo – e incendiare più vaste aree del mondo, in particolare ai nostri confini.

Purtroppo l’impegno finanziario dell’Unione Europea soffre di due rilevanti limiti: da una parte per il “miserabile” bilancio comunitario, oggi attorno alla modesta soglia dell’1% della ricchezza europea, e dall’altra per il difficile coordinamento tra gli interventi in carico ai singoli Paesi UE, che spesso perseguono interessi diversi, in parte ancora un’eredità persistente di un passato coloniale non è senza responsabilità nel perdurare dei conflitti in corso, non solo in Medioriente ma anche in Africa.

La futura Unione Europea, che i suoi cittadini elettori disegneranno con il voto del prossimo 9 giugno per il Parlamento europeo dovrà tenere conto delle drammatiche lezioni che la storia le sta impartendo, non ultima che la promozione europea della pace nel mondo deve riposare sulla giustizia, come a noi ricorda l’art. 11 della Costituzione a proposito del sostegno da dare alle “organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”.

1 COMMENTO

  1. Sacrosante parale: bisogna aumentare il budget federale della UE, senza un adeguato bilancio comune l’UE sarà sempre una cenerentola!

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