A cosa serve un Consiglio europeo

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Da un po’ di tempo a questa parte i Consigli europei dei Capi di Stato e di governo dell’Unione Europea si sono fatti più frequenti: è comprensibile, vista la massa crescente di problemi che pesano sull’Europa, al suo interno come anche ai suoi immediati confini dove aumentano i rischi di guerre.

Non è facile fare un bilancio di quanto questi incontri al vertice siano stati utili. Se si guarda alle decisioni prese su alcuni nodi importanti, come quello dell’accoglienza di migranti e profughi, non c’è certo da festeggiare. E’ stato ancora il caso dell’ultimo Consiglio europeo della settimana scorsa, nel quale l’unica decisione in materia è stata quella di convocare due vertici straordinari. Il primo a inizio marzo per tentare di concordare azioni comuni con la Turchia e uno a metà dello stesso mese per provare a trovare un’intesa tra i Ventotto sul futuro dell’Accordo di Dublino a proposito delle regole dell’asilo per i profughi e su quello che resta del Trattato di Schengen, dopo le chiusure unilaterali già in funzione nella fascia nord orientale dell’UE e quelle annunciate dall’Austria, nonostante la severa messa in guardia da parte della Commissione europea.

Sul fronte caldo dell’immigrazione non sono quindi stati fatti grandi passi avanti, anche se si sono registrati utili confronti, anche aspri, tra quanti si aggrappano alla residua solidarietà di cui è capace l’UE, come l’Italia, la Grecia ma anche la Germania, e quanti, tra gli ultimi arrivati nell’UE e che di solidarietà europea vivono, come i Paesi del gruppo di Visegrad (Polonia, Repubblica ceca, Slovacchia e Ungheria), che negano ogni solidarietà ai nuovi arrivati. E bene ha fatto Matteo Renzi a ricordargli che la solidarietà in Europa deve valere in entrambe le direzioni e che sarebbe bene cominciare a pensare a eventuali sanzioni sull’accesso ai fondi europei per chi non se ne fa carico.

Poche o nulle le decisioni quindi in materia di migranti, accordo invece all’unanimità per concedere alla Gran Bretagna, alla vigilia del referendum sulla permanenza o meno nell’UE, le ennesime deroghe chieste all’UE per ottenere uno statuto speciale che consenta all’isola di sua Maestà di diventare ancora più isola di quanto già non sia, esimendola da proseguire verso una “Unione sempre più stretta”.

Diverse le letture di questa sola decisione del Consiglio europeo: concessioni eccessive da parte degli altri 27 Paesi alla Gran Bretagna oppure svolta liberatoria per i Paesi che vogliono progredire verso l’Unione politica, senza più il “freno tirato” inglese? Alla domanda risponderà il futuro, a questo punto non più tanto lontano: la vecchia Europa sta lentamente morendo, la nuova deve ancora soffrire i dolori del parto, ma ha adesso l’occasione per reinventarsi un progetto per questo complicato XXI secolo che ha relegato ormai il passato negli archivi della storia, da cui però le resta ancora molto da imparare. Magari tenendo d’occhio quello che sta capitando in questi giorni alle frontiere di Austria e Ungheria, quasi un risorto impero austro-ungarico di non felice memoria in questi anni centenario della Prima guerra mondiale. Se davvero la storia fosse “maestra di vita” l’Europa che nascerà avrà tanto da imparare. E da insegnare ai suoi più giovani cittadini, smemorati e convinti che questo nostro continente sia pacifico e vaccinato dal virus della guerra.

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