UE, un altro quarto di secolo

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La vita delle Istituzioni che ci governano si misura anche dalla durata. Quella dell’Unione Europea anche dalla capacità di resilienza in una stagione della storia in forte accelerazione e segnata da sconvolgimenti epocali, come avvenuto in questo primo quarto di secolo che ha inaugurato il nuovo millennio.

L’Unione Europea aveva già un mezzo secolo di vita allo scadere del Novecento, periodo relativamente tranquillo in cui era cresciuta da Sei a Quindici Paesi membri, rafforzando un complesso mercato unico e dotandosi poi di regole per promuovere una “economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale e su un elevato livello di tutela e miglioramento della qualità dell’ambiente” come recita l’art. 3 del Trattato di Lisbona attualmente in vigore.

Questo primo quarto di secolo del 2000 ha messo a dura prova quelle buone intenzioni, con risultati in chiaroscuro da valutare nel contesto di una storia mondiale sconvolta da eventi inattesi.

La lista sarebbe lunga, dall’attacco nel 2001 alle Torri gemelle a New York alle guerre in Afghanistan e in Medio oriente; dalle crisi economiche e finanziarie globali a cavallo del 2010 all’esplosione della pandemia nel 2020, della guerra della Russia all’Ucraina nel 2022 e del conflitto israelo-palestinese nel 2024,  fino all’irruzione del secondo mandato di Trump alla Casa Bianca in questo 2025, solo per citare alcuni degli eventi più rilevanti.

In questo scenario l’Unione Europea, che non è un’isola protetta ma solo un piccolo promontorio dell’Asia esposto ai quattro venti, ha subito colpi esterni e rallentamenti interni, pur mettendo a segno risultati importanti. Tra questi la moneta unica per 20 Paesi, la prosecuzione della riunificazione continentale con il grande allargamento ad est, un generoso sforzo per la salvaguardia del pianeta, una ritrovata solidarietà nella risposta alla crisi pandemica con la creazione di un consistente debito comune nel 2020 e uno più modesto, non senza fatica, nei giorni in corso per sostenere l’Ucraina, come sta facendo tenacemente da quasi quattro anni.

Nello stesso periodo l’UE ha anche registrato rallentamenti e involuzioni pesanti al suo interno, dalla mancata adozione di un Progetto di Costituzione europea alle sciagurate politiche di austerità nelle crisi finanziarie; dalla progressiva frammentazione del quadro politico segnato dalla crescita di movimenti nazional-populisti e da regressioni democratiche nella sua area orientale ma non solo, fino alla resa recente al suo ex-alleato americano sul versante della spesa militare nella NATO e dei dazi, senza ottenerne ad oggi gli sperati risultati per una “pace giusta e duratura” per l’Ucraina. 

Il giudizio sull’Unione Europea in questo primo quarto del nuovo secolo non è esaltante, in particolare se ci si sofferma su questi ultimi mesi, segnati da molti passi indietro sulla politica-bandiera dell’UE in materia ambientale, ma anche per l’incertezza nei posizionamenti mondiali, a cominciare da quello con la Cina e i ritardi nel concludere indispensabili accordi commerciali internazionali, come con i Paesi dell’America latina riuniti nel Mercosur e con l’India.

Non poteva andare molto diversamente con una classe dirigente europea a servizio degli interessi altalenanti, se non politicamente ambigui, come nel caso italiano, dei 27 governi nazionali, con una Commissione indebolita e incapace di dare vita a quel rilancio economico e politico invocato dai Rapporti di Enrico Letta e di Mario Draghi.

Resta tuttavia che questa Unione ha resistito, forse più di quanto temuto o auspicato da molti. Dovrà adesso sopravvivere a se stessa e agli egoismi nazionali.  

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