Unione Europea per l’Ucraina: tra solidarietà e prudenza

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Saranno commentati a lungo, e in senso diverso, i risultati del Consiglio europeo dei Capi di Stato e di governo del 18 e 19 dicembre scorso a Bruxelles. In molti si eserciteranno nello stanco esercizio di indicare chi ha perso e chi a vinto dei Ventisette, altri proveranno ad interrogarsi se abbia vinto l’Unione Europea o i suoi avversari, tanto ad est che ad ovest. 

In attesa di meglio capire come evolveranno le trattative in corso per mettere fine alla guerra in Ucraina e con quale ruolo l’UE si posizionerà non solo in questa complessa vicenda, ma anche nelle relazioni internazionali in questo mondo fuori controllo, forse non è sbagliato costatare che a Bruxelles è prevalso un apprezzabile equilibrio tra il valore della solidarietà e le regole della prudenza politica, tra una ritrovata parziale compattezza e un faticoso rispetto del diritto internazionale.

Dei due principali nodi sul tavolo del Consiglio europeo, il sostegno all’Ucraina aggredita dalla Russia e l’importante accordo commerciale con i Paesi dell’America latina riuniti nel Mercosur, limitiamoci alla decisione presa per l’Ucraina, registrando non senza preoccupazione il rinvio dell’accordo commerciale, sul quale ci sarà tempo per ritornare.

A Bruxelles l’Unione Europea era davanti a un bivio, sintetizzato brutalmente dal premier polacco, Donald Tusk: per l’Ucraina e l’Europa “o i soldi oggi, o il sangue domani” e non era il momento di sbagliare, come aveva chiesto il presidente Sergio Mattarella i giorni scorsi.

Sarebbe stato sbagliato continuare a illudersi, come molti in seno alla maggioranza di governo in Italia, sul sostegno americano o sulla disponibilità alla trattativa da parte di Putin; e sarebbe stato sbagliato rinviare una decisione annunciata da tempo, forse con troppa facilità.

Due erano le opzioni possibili: congelare, per poi utilizzare in qualche modo a sostegno dell’Ucraina, i depositi bancari russi in Europa, come sostenuto in particolare dalla Germania, dai Paesi baltici e da Ursula von der Leyen, oppure attivare un debito comune europeo, come era stato fatto nel 2020  all’indomani del Covid con il “Next generation Eu”. 

A contrastare la prima opzione il rischio di ritorsioni da parte della Russia e il rispetto di fragili, e diversamente interpretabili, regole del diritto internazionale, mentre l’opzione “debito comune” non era gradita ai “Paesi frugali”, la Germania in testa. Quanto alla procedura decisionale, favoriva la prima opzione la possibilità di un voto a maggioranza, mentre la seconda era appesa al cappio del voto all’unanimità. 

Nonostante questo ha prevalso la seconda opzione, quella di un debito comune di 90 miliardi di euro, grazie al “non voto contrario” di Ungheria, Slovacchia e Repubblica Ceca, autorizzati in cambio – e sarà un conto da regolare in futuro – a non partecipare a questo impegno di solidarietà. Nella sostanza una “cooperazione rafforzata che attiva un prestito dell’UE per la sopravvivenza nel 2026-2027 dell’Ucraina, che lo potrà rimborsare se, e quando, la Russia pagherà il suo debito di Paese aggressore: nel frattempo il debito, garantito dal bilancio europeo, sarà a carico dei 24 Paesi che lo hanno sottoscritto.

A più d’uno è parsa questa decisione un’occasione mancata di coraggio per un contrasto attivo al dittatore russo, con altri che vi hanno visto un ulteriore prezzo pagato – dopo quello dei dazi e dell’aumento della spesa militare – a Donald Trump, nella speranza di trattenerlo nel campo occidentale e lasciargli un varco aperto per contrattare con il suo socio in affari Putin, anche grazie a quei depositi miliardari che fanno gola ad entrambi, ma oggi congelati dall’UE a tempo indeterminato. 

Altri hanno visto nell’UE una tenace volontà di dialogo, di una rinnovata fiducia nella diplomazia, di un solitario rispetto di quel che resta del diritto internazionale per favorire una de-escalation militare, accompagnata da un contributo finanziario contenuto, sicuramente necessario ma probabilmente insufficiente, a carico dell’Europa: una solidarietà comunque costosa per i contribuenti europei, in particolare per le future generazioni alle quali si chiede di pagare il prezzo più alto per la nostra dignità e la nostra libertà di oggi e, si spera, per la loro di domani.

In questi tempi di nuovi “napoleoni”, quanto ad un giudizio finale sulla decisione finalmente presa, lasciamo con Manzoni  “ai posteri l’ardua sentenza”.

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