COP 30 (Conferenza delle Parti) significa che siamo giunti alla sua trentesima edizione annuale, da quando grandi e piccoli attori della Terra si riuniscono per constatare e per prendere le misure adeguate a far fronte al surriscaldamento del Pianeta. Le COP nascono infatti dal Vertice della Terra di Rio de Janeiro del 1992, con la sottoscrizione della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, entrata in vigore nel 1994, che riconosce formalmente la necessità di un’azione globale e differenziata fra i Paesi della Terra al cambiamento climatico.
Partita inizialmente dal Brasile e tornata oggi nel cuore dell’Amazzonia, la COP 30 segna purtroppo non solo gli scarsi risultati ottenuti dopo tanti anni, ma mette in evidenza anche i grandi cambiamenti geopolitici avvenuti finora, con nuovi attori sulla scena internazionale e nuove ed esigenti politiche di sviluppo. Il risultato è che nel corso degli ultimi 30 anni le emissioni di CO2 sono sempre state in aumento a livello globale.
Al riguardo, vale la pena guardare alla situazione di due Paesi che si ritrovano ai primi posti nell’aumento delle emissioni di CO2, la Cina e gli Stati Uniti, questi ultimi usciti dall’Accordo di Parigi, perché non considerano il clima una priorità globale.
La Cina oggi è considerata il Paese che inquina di più al mondo. Per la prima volta, tuttavia, durante la COP 30 in corso, Pechino ha preso un impegno formale per ridurre entro il 2035 le sue emissioni di gas serra fra il 7 e il 10 per cento, emissioni prodotte in particolare dal largo uso di carbone, ma probabilmente percentuali insufficienti per rispettare gli obiettivi dell’Accordo di Parigi.
Ma la medaglia cinese ha un rovescio che non va sottovalutato e avrà un impatto sulla produzione e la transizione energetica a livello globale nel prossimo futuro : la capacità, i grandi investimenti e la forte produzione di energie rinnovabili, in particolare pannelli solari e pale eoliche, che ormai Pechino esporta in varie parti del mondo a prezzi sempre più bassi e accessibili anche per i Paesi in difficoltà.
Le stime degli esperti dicono che la Cina non ha concorrenti al riguardo ed ha una capacità di produzione di rinnovabili pari a quelle degli Stati Uniti, dell’Unione europea e dell’India messe insieme. Va ricordato al riguardo che, a livello mondiale, l’80% dei pannelli solari, il 60% delle pale eoliche e il 70% delle batterie per auto elettriche sono prodotti da imprese cinesi.
E’ in questa doppia situazione, apparentemente contradditoria, di primo inquinatore mondiale ma anche di primo produttore di energie rinnovabili che la Cina sta disegnando un suo futuro che incrocia interessi politici, economici e di protezione dell’ambiente, una politica a lunga scadenza che non mancherà di avere un impatto sul mercato globale dell’energia, di attribuire al Paese un ruolo geopolitico non indifferente e di creare rischi di dipendenza nei suoi confronti. Non solo, ma ci si può interrogare anche sulla prospettiva che la Cina, in un prossimo futuro, assuma un ruolo di leadership nella transizione energetica globale.
Sul versante opposto gli Stati Uniti hanno segnato con la loro assenza alla COP 30, un grande ritorno al passato. Donald Trump ha cancellato i tentativi politici delle Amministrazioni democratiche precedenti per contrastare i cambiamenti climatici e preme per uno sviluppo sempre più forte delle energie fossili. Gli Stati Uniti rappresentano il secondo inquinatore mondiale dopo la Cina e questa insensata politica di Trump crea inquietanti incertezze sulle emissioni future del Paese e sulla già cagionevole salute del Pianeta.













