Scaramucce sulla finanziaria, battaglia aperta per il bilancio UE

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Mentre a Roma maggioranza ed opposizioni si accaniscono sui pochi spiccioli a disposizione – 18 miliardi di euro dispersi in mille rivoli – per la manovra finanziaria 2026, a Bruxelles sono iniziate al calor bianco le battaglie politiche in vista dell’adozione del futuro bilancio settennale UE 2028-2034, con una dotazione di circa 2000 miliardi di euro concentrati su politiche decisive per il nostro futuro.

Vale allora la pena spostare qui l’attenzione, non tanto e solo per le incomparabili dimensioni finanziarie dei due bilanci in discussione quanto, più ancora, per l’impatto sul futuro dell’Unione Europea e dell’Italia.

La procedura relativa all’adozione del bilancio europeo è stata avviata dalla proposta della Commissione e  sarà oggetto di una complessa trattativa nel corso dei due prossimi anni, tra la stessa Commissione, il Consiglio dei ministri e il Parlamento europeo: l’approvazione di quest’ultimo sarà necessaria per l’adozione finale del bilancio pluriennale UE. 

Due anni non saranno pochi per sciogliere i nodi di uno strumento finanziario che si intreccerà con prospettive di sviluppo economico incerte, la necessità di destinare risorse importanti alla difesa comune e di preparare un importante tornata di allargamenti dell’Unione nel corso del prossimo decennio, con vista sull’Ucraina.

La settimana scorsa il dialogo tra Commissione e Parlamento europeo ha visto l’irruzione di un’inedita lettera di quest’ultimo alla presidente Ursula von der Leyen che rischia di terremotare la trattativa, con uno scontro istituzionale in prospettiva. La lettera era firmata da tutti i partiti europei che sostengono la precaria “maggioranza Ursula”, compreso il suo partito di riferimento, quello dei Popolari europei, oltre che quello dei Socialisti e Democratici, Liberali e Verdi, raramente compatti tra di loro, a riprova di una tensione mai vista tra Parlamento e Commissione.

Già a maggio il Parlamento europeo aveva anticipato, sulla proposta della Commissione, le proprie riserve rimaste senza riscontri significativi. Adesso la lettera del Parlamento ha toni perentori: è richiesta una nuova proposta che rispetti le sue precedenti richieste, confortate anche dalle dure prese di posizioni, nello stesso senso, da parte del Comitato europeo delle Regioni e dal Comitato economico e sociale europeo.

E’ concordemente contestata l’architettura del bilancio, orientata a rinazionalizzare le risorse comunitarie secondo il modello dei “Piani europei di ripresa e resilienza” (PNRR) con il risultato di frammentare le politiche comunitarie, in particolare penalizzando la politica agricola comune e i Fondi di coesione, pilastri della solidarietà europea e mortificando il ruolo delle autonomie locali e i partner sociali nel loro dialogo con Bruxelles. 

Non meno importante la richiesta di condizionare l’erogazione delle risorse comunitarie al rispetto dello Stato di diritto – “Ungheria docet” – e alla normativa anti-corruzione che, per l’Italia, comporterà anche qualche riflessione sulla soppressione del reato di abuso d’ufficio e sull’entità delle frodi riscontrate nell’impiego dei fondi comunitari.

Se questi sono al momento i principali rilievi, non vanno nascosti quelli che a monte li motivano politicamente, come la gestione sempre più “autoritaria” dell’attuale presidente della Commissione, responsabile di incrinare la tradizionale buona cooperazione tra il Parlamento e la Commissione, mentre crescono da parte di entrambe le Istituzioni UE le tensioni con i governi nazionali più determinati a salvaguardare i loro immediati interessi invece di perseguire  quello comunitario.

Tutto questo con il rischio di moltiplicare tra loro i conflitti, anche istituzionali: quello del Parlamento con la Commissione e quello dei governi nazionali, gli uni contro gli altri. 

Proprio quello di cui non ha bisogno l’Unione Europea in questa difficile stagione politica, tanto al suo interno che nei confronti con i “predatori globali”, come Stati Uniti, Cina e Russia, contenti di indebolire la straordinaria avventura dell’integrazione economica  e politica di una Unione ancora alimentata da  una cultura democratica le cui complesse procedure di decisione la espongono ad essere un loro facile bersaglio.

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