A febbraio prossimo, saranno quattro anni che la guerra della Russia all’Ucraina si trascina seminando vittime e distruzione. Trump, che si era dichiarato pronto a mettervi fine in una settimana, continua a prodursi in dichiarazioni contraddittorie, non chiarendo quanto sia dalla parte del maltrattato Zelensky o del suo “compagno in affari” Putin. Finora l’Unione Europea ha assistito a questo deprimente spettacolo senza riuscire a darsi una strategia per intervenire, limitandosi a iniziative generose di alcuni suoi leader e cercando di venire a capo dei “fuochi d’artificio” del suo ex-alleato americano.
Non che nel frattempo l’UE non abbia fatto niente per l’Ucraina, al contrario. All’indomani dell’invasione Russia ha immediatamente aperto le sue frontiere per accogliere oltre un milione di profughi ucraini, dotandoli di una provvisoria “cittadinanza europea”; è intervenuta con importanti risorse finanziarie, superiori complessivamente a quelle degli USA, per rafforzarne le capacità di difesa e ha pagato prezzi economici non indifferenti imponendo progressive sanzioni alla Russia, il 19mo pacchetto ancora giovedì scorso, senza ancora riuscire a trovare un accordo sull’utilizzazione dei depositi finanziari russi, gran parte dei quali trattenuti in Belgio.
Tutto questo senza dimenticare un altro prezzo pesante pagato a Donald Trump con i dazi innalzati al 15%, nonostante l’impegno dei Paesi UE membri della NATO di aumentare la propria spesa militare al 5% del Prodotto interno lordo entro il 2035, con l’illusione di assicurarsi la protezione americana per l’Ucraina.
Sarebbe dovuta bastare meno pazienza con Trump per mettere mano a una iniziativa collegiale europea, ma alla fine qualcosa si è mosso. Prima, ad opera della Commissione Europea, con il progetto UE in cantiere “Preparati per il 2030” che prevede uno stanziamento di 800 miliardi di euro per rafforzare la propria sicurezza, ma solo 150 di questi destinati ad avviare un abbozzo di difesa “europea” e i 650 restanti, pericolosamente destinati a rafforzare le difese nazionali con forti rischi di effetti distorsivi per la coesione economica e politica dell’Unione.
Il tema è finito sul tavolo del Consiglio europeo dei Capi di Stato e di governo riunito a Bruxelles il 23 ottobre scorso, all’indomani del rinvio dell’annunciato incontro di Trump con Putin a Budapest.
Forse meglio così per chi ricorda che proprio a Budapest nel 1994 venne sottoscritto tra Stati Uniti, Russia e Regno Unito un memorandum che garantiva all’Ucraina, in cambio della consegna delle armi nucleari in suo possesso, sicurezza e integrità territoriale: finì con l’annessione russa nel 2014 della Crimea e dell’invasione dell’Ucraina nel 2022.
Le conclusioni del Consiglio europeo sono state in parte incoraggianti, almeno per quanto riguarda l’Ucraina, alla quale è stato confermato il sostegno per la sua sicurezza con l’impegno a destinarvi fondi importanti, rafforzato dall’annuncio di uno stop al gas russo entro due anni e l’adozione della priorità a sistemi anti-aerei e anti-drone, senza dimenticare la rinnovata volontà in favore del percorso di adesione di Kiev all’Unione Europea. Tutte conclusioni adottate però a 26, senza l’accordo dell’ungherese Orban, per il quale “Bruxelles è un pericolo, ci vuole in guerra”.
Sono impegnati per un percorso di pace anche alcuni importanti Paesi UE che, in collaborazione con Trump e la NATO, stanno lavorando a un Piano in 12 punti con la proposta di un cessate il fuoco lungo l’attuale linea del fronte, per procedere poi al ritorno dei bambini deportati e allo scambio dei prigionieri, con impegni da parte degli europei per la sicurezza e la ricostruzione dell’Ucraina. Su questi obiettivi sta convergendo anche la “coalizione dei volenterosi”, riunita venerdì scorso a Londra ad iniziativa franco-britannica.
Non è difficile intravvedere in queste proposte, ancora fragili tenuto conto dell’atteggiamento russo, un tentativo per almeno temperare una deriva come la “pace a Gaza”, dove l’accordo è maturato da un’intesa tra Stati Uniti e Israele, con la totale esclusione del popolo palestinese e un tardivo coinvolgimento degli europei a decisione ormai presa.













