Riconoscimento della Palestina alle Nazioni Unite

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Rimarrà una data importante quella del 22 settembre per quanto riguarda il riconoscimento dello Stato di Palestina davanti all’Assemblea Generale dell’ONU. Si aggiungeranno infatti ai 149 Paesi che già lo riconoscono, vale a dire due terzi della comunità globale, Paesi che non avevano mai osato, prima d’ora, fare tale passo diplomatico. Si tratta della Francia, del Regno Unito, del Belgio, del Lussemburgo, del Portogallo, del Canada e dell’Australia, Paesi appartenenti all’Occidente, alcuni dei quali all’Unione Europea e due altri al G7 (i sette Paesi più industrializzati al mondo, in questo caso il Canada e il Regno Unito).

E’ stata soprattutto la Francia, ad indicare, nello scorso mese di giugno, l’intenzione di procedere al riconoscimento della Palestina e, fatto non certo da sottovalutare, di condurre tale operazione insieme all’Arabia Saudita. L’obiettivo era anche di coinvolgere e convincere altri Paesi ad aderire a tale decisione, sia nel campo occidentale sia fra i Paesi della Lega araba.

Se, da una parte, tale riconoscimento significa innanzitutto ribadire la forza del diritto internazionale (le cui fondamenta sono oggi fortemente messe in discussione), il diritto del popolo palestinese all’autodeterminazione e il diritto di esistere come entità geografica e politica, dall’altra, questo riconoscimento avviene con un ritardo tale che vede la Palestina vicina al baratro e nella mancanza di reali prospettive di sopravvivenza. 

Benché l’obiettivo di “due Popoli, due Stati”, risalga alla Risoluzione ONU del 1947, riaffermato soprattutto con gli Accordi di Oslo del 1993, obiettivo purtroppo mai raggiunto, è proprio nella constatazione del massacro che si sta consumando a Gaza, nella prospettiva di annessione ad Israele della Cisgiordania, che il riconoscimento della Palestina diventa l’ultimo tentativo, per la coscienza della comunità internazionale, di portare una prospettiva alternativa a quella oggi in corso, e cioè alla distruzione senza fine, all’emergenza umanitaria e all’annientamento di un popolo. 

Con l’aumentare del numero di Paesi che riconoscono la Palestina, Israele dovrà prendere atto del suo isolamento sempre più forte a livello internazionale, e non basterà, al riguardo, essere affiancati politicamente e sostenuti militarmente dagli Stati Uniti, o da ambiguità come quelle del governo italiano, per portare avanti e realizzare un progetto che, oltre alla Palestina, si estende all’insieme della regione.

Certo è che il riconoscimento della Palestina non può rimanere un atto senza domani. Il Presidente francese Macron, nel suo discorso all’ONU, ha presentato tale decisione politica come l’inizio di un processo di lunga portata e durata, che inizi soprattutto con un cessate il fuoco, con la liberazione degli ostaggi e ponga fine a quello che viene ormai definito un genocidio. Seguiranno altre fasi, non ancora definite proprio per lasciare spazio a possibili negoziati, come ad esempio la definizione di una nuova governance palestinese senza Hamas.

La reazione di Israele è stata, come prevedibile, dura e carica di minacce di ritorsione nei confronti dei Paesi che hanno fatto il passo del riconoscimento. Malgrado, quindi, le condanne a livello internazionale, Netanyahu non ha allentato la morsa dell’offensiva su Gaza. Una situazione che chiama la comunità internazionale a far pesare ancor più su Israele le ricadute di un isolamento che non sia più solo politico e diplomatico ma comporti anche sanzioni economiche e commerciali. E’ un richiamo importante anche all’Unione Europea, intrappolata in storiche divisioni al riguardo, affinché sospenda completamente quell’Accordo di associazione che contempla il rispetto dei diritti umani. 

Israele continua ad essere considerato l’unica democrazia della regione. Il riconoscimento della Palestina contiene un forte messaggio anche al popolo israeliano : non è attraverso la distruzione del popolo palestinese che Israele garantirà la sua sicurezza e un suo futuro di pace.

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