80 anni da Hiroshima e Nagasaki: il ritorno della minaccia nucleare

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Hiroshima, 6 agosto 1945. Un bombardiere statunitense sgancia Little Boy, la prima bomba atomica della storia, causando la morte istantanea di circa 140.000 persone. Tre giorni dopo, Fat Man devasta Nagasaki, aggiungendo altre 40.000 vittime. Il Giappone conosce l’Abisso e il mondo scopre l’orrore del potere nucleare. Da allora sono passati 80 anni. Otto decenni di sforzi per contenere la proliferazione, delegittimare la guerra e promuovere il disarmo. Eppure, oggi il contesto globale appare più instabile che mai, segnato da un ritorno delle logiche di potenza, dal riarmo e da conflitti armati su più fronti. L’Orologio dell’Apocalisse segna appena 89 secondi alla mezzanotte: mai così vicino alla catastrofe, secondo gli scienziati del Bulletin of the Atomic Scientists. A preoccupare è il progressivo smantellamento del sistema internazionale di controllo degli armamenti, fondato su trattati, accordi multilaterali e iniziative civili. Nel 2015, il Piano d’Azione Congiunto sul nucleare iraniano (JCPOA) aveva rappresentato un passo avanti. Ma solo tre anni dopo, l’amministrazione Trump ritirava unilateralmente gli Stati Uniti dall’accordo, minando un equilibrio già fragile. Poi la pandemia, l’invasione russa dell’Ucraina, il massacro di Hamas in Israele, la guerra a Gaza e infine il bombardamento preventivo USA-Israele sull’Iran, con l’obiettivo di fermare la corsa verso nuove armi nucleari. Nel frattempo, il Cremlino ha annunciato l’uscita dalla moratoria sui missili a medio e corto raggio, mentre da Washington giunge la risposta: il dispiegamento di due sottomarini nucleari “più vicini alla Russia”. In Europa, Francia e Regno Unito aggiornano le proprie dottrine nucleari, pronti a offrire un «ombrello atomico» al continente. In Asia, la Cina prevede di portare il proprio arsenale da 300 a 1.000 testate entro il prossimo decennio, diventando la terza superpotenza nucleare accanto a Russia e Stati Uniti. Non si tratta di un nuovo paradigma, ma di una pericolosa regressione. Aumentano le spese militari, mentre sbiadisce l’obiettivo – tanto nobile quanto irrealizzabile senza volontà politica – di un disarmo nucleare globale. La guerra torna a essere percepita come opzione possibile, se non legittima. Eppure, nonostante la retorica ufficiale che condanna le armi atomiche come disumane, la convinzione nella deterrenza – anche convenzionale – resta diffusa. Si crede che essa eviti guerre, specialmente tra potenze come Cina e Russia. Tuttavia, la deterrenza funziona solo se accompagnata da accordi efficaci di limitazione, riduzione e non proliferazione. In assenza di tali strumenti, rischia di alimentare la corsa agli armamenti, portando le potenze sull’orlo del conflitto a ogni crisi. E talvolta, è proprio la deterrenza a innescare lo scontro.

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