La lezione dei dazi al 15% all’Europa e all’Italia

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In attesa di conoscere meglio i termini del traumatico accordo USA-UE sui dazi al 15% e sulle evoluzioni ancora possibili – e con Trump anche imprevedibili – e in attesa di verificare il reale rispetto delle intese raggiunte e di valutare le conseguenze economiche e politiche a livello mondiale, non è inutile provare a ricavare qualche insegnamento da questa sconcertante vicenda.

Fino ad un recente passato vigeva un sistema di regole, variamente rispettate, volte a favorire il libero commercio, abbattendo progressivamente barriere e dazi, disponendo di una sede istituzionale, l’Organizzazione mondiale del commercio (OMC), creata nel 1995, oggi con la presenza della quasi totalità dei Paesi del mondo, con la responsabilità di vigilare sul rispetto degli accordi commerciali e dirimere le inevitabili controversie.

Una macchina che non si può dire funzionasse alla perfezione e con condivisibile equilibrio politico, ma che negli anni dell’esplosione della globalizzazione riusciva almeno a ridurre i danni provocati dalle contese commerciale.

Questo quadro istituzionale, già fragile, è stato travolto dalla prepotenza di Trump, per il quale la forza impone le regole, naturalmente le sue, mandando per aria intese multilaterali che avevano fatto bene al commercio e alle economie nazionali, anche se non sempre evitando squilibri nella competizione internazionale.

Nello sfaldamento di questo argine hanno reagito con diversa forza e diverse strategie i Paesi finiti sotto la pressione dei dazi americani, come sta avvenendo con la “pace armata” con la Cina, con la contesa in corso con il Canada, con l’intesa raggiunta con Regno Unito e, più recentemente, il Giappone.

Più complessa e più dilatata nel tempo la contesa dell’UE con gli USA, motivata dall’importante volume degli scambi transatlantici, dalla forza comparabile delle due economie, nonché dai contrasti in seno alla NATO, che non hanno mancato di interferire nella vicenda. 

In carico all’Unione Europea un’ulteriore complessità negoziale proveniva dal suo assetto istituzionale che affidava la responsabilità della trattativa alla realtà multilaterale dell’UE, nella figura della Commissione europea che aveva in carico la proposta e il relativo negoziato il cui esito va sottoposto all’approvazione con voto a maggioranza del Consiglio dei ministri UE. 

Una situazione che da un lato assicurava forza negoziale all’UE evitando fughe in avanti da parte dei Paesi membri e dall’altro però rendeva complicato trovare un equilibrio tra i divergenti interessi nazionali. Avere evitato rotture tra i partner è da considerarsi, al di là del pesante risultato sulla percentuale dei dazi, un importante punto in favore dell’Unione, anche in vista di altre difficili sfide che l’attendono.

Tra queste si impone una rivisitazione del quadro globale del commercio mondiale, avendo capito che molte cose si sono chiarite in questi ultimi mesi sulle nostre relazioni con gli USA e sulle pretese amicizie con  leader europei, non una protezione nel caso di Giorgia Meloni con l’imperatore americano e che, soprattutto, il commercio mondiale non si esaurisce tra le due sponde dell’Atlantico.

Considerazioni che dovrebbero orientare l’Unione Europea, come già in parte sta avvenendo, a diversificare le sue relazioni commerciali, accelerare nuovi accordi come nel caso dell’America latina con il Mercosur, dell’ India e del Giappone e, con tutte le cautele del caso, con la Cina come tentato nei giorni scorsi con la missione dell’Unione Europea a Pechino.

Altra pista da esplorare, ma ci vorrà tempo, sarà quella di rimediare alla riduzione degli scambi con gli USA con il rilancio della domanda interna per sostenere l’economia UE minacciata adesso da una crescita ridotta e da un dollaro indebolito: toccherà adesso alle Autorità europee, in particolare alla Commissione e alla Banca centrale, prendere le misure necessarie, senza nulla elemosinare dall’imperatore americano. 

Anche per non meritare le feroci battute di una vignetta di Altan: “Bisogna alzare la voce con gli americani”. “Devono capire chi è che ubbidisce qui.”

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