E’ altissima la tensione in Medio Oriente. Nella notte fra il 12 e il 13 giugno, Israele ha messo in atto una delle fasi di guerra più pericolose della sua esistenza : dichiarare guerra all’Iran. Una guerra che tuonava da tempo da lontano ma che ha avuto un effetto di sorpresa proprio per l’intricata situazione in corso nell’insieme del Medio Oriente.
Si potrebbe cominciare con il ricordare i negoziati in corso tra Stati Uniti e Iran sullo sviluppo del nucleare iraniano voluti dal Presidente Trump in un contesto bilaterale e volti ad impedire che Teheran si doti dell’arma atomica. Un negoziato difficile, sensibile, mediato dall’Oman, sostenuto con prudenza dai Paesi arabi della regione, ormai giunto al suo sesto round, ma un negoziato che lasciava, con tutti i suoi limiti, spazio alla diplomazia nucleare.
Vero è che Teheran, malgrado le sue resistenze ad abbandonare il programma di arricchimento dell’uranio, adducendo l’obiettivo dello scopo civile e considerandolo un diritto, si ritrova in una situazione di vulnerabilità, dovuta all’indebolimento dei Paesi fedeli che costituivano il famoso “Asse della Resistenza”, dal Libano con gli Hezbollah alla Siria, dallo Yemen degli Houti fino ad Hamas. Non solo, ma Teheran è sotto la forte pressione delle sanzioni economiche dovute proprio al suo programma nucleare e che tanto pesano sulle condizioni di vita della popolazione.
Sempre in tema di nucleare, non bisogna dimenticare che proprio negli ultimi tempi, Paesi della Regione (Arabia Saudita, Egitto, Turchia, Giordania in particolare) hanno iniziato a pianificare o avviare programmi nucleari civili, riorientando le loro strategie energetiche, incentrate storicamente sulle energie fossili. Un contesto che conferma la complessità del tema e le ricadute politiche regionali, al di là dello storico rapporto di conflitto fra Iran e Israele. A tale proposito e malgrado le condanne dei Paesi arabi all’attacco israeliano, la posizione di questi ultimi sembra essere quello di vedere l’evoluzione della situazione sul terreno.
Nel frattempo, i negoziati fra USA e Iran si sono interrotti, gli attacchi israeliani sull’Iran sono andati ben oltre i siti nucleari, ma hanno anche decapitato gran parte della leadership iraniana responsabile della sicurezza, hanno colpito molti scienziati, vertici dei pasdaran, civili. Una guerra che, nella sua improvvisa dichiarazione e con la malcelata complicità statunitense, sembra voglia puntare ad un conflitto senza mediazioni e senza spiragli diplomatici, checché ne dica o faccia il Presidente Trump, nelle sue ambiguità politiche e nel rafforzamento della presenza militare statunitense nella regione.
Resta il fatto che, come dichiarato da Netanyahu, “Israele sta cambiando il volto del Medio Oriente”. Quale profilo avrà, ancora non si sa. Sullo sfondo rimangono la ferocia della guerra a Gaza, che, rimandata in secondo piano, continua a mietere decine di vittime ogni giorno e sta portando la popolazione allo stremo e alla fame. Dietro Gaza, soffre anche la Cisgiordania, dove l’avanzata degli insediamenti dei coloni e i continui attacchi militari l’hanno ridisegnata ormai a macchia di leopardo, in netta violazione del diritto internazionale e impedendo una possibile continuità territoriale.
Salta anche l’appuntamento della Conferenza delle Nazioni Unite sulla soluzione a due Stati tra Israele e Palestina, che avrebbe dovuto tenersi dal 17 al 20 giugno, sotto la Presidenza congiunta di Francia e Arabia saudita. Appuntamento rimandato, a detta del Presidente francese Macron “a causa delle crescenti tensioni fra Iran e Israele”, e di cui uno degli obiettivi era quello di aumentare il numero di Paesi che riconoscono la Palestina.
E intanto guerra e vittime sono le uniche voci che parlano in Medio Oriente.