Europa, a che punto siamo?

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Siamo oggi una Comunità   di quasi 500 milioni di cittadini: tra questi, circa 20 milioni non hanno la cittadinanza degli Stati che la compongono. Siamo un continente che invecchia con Paesi, come l’Italia, che tra poco più di 10 anni avranno due soli lavoratori attivi per ogni pensionato. Il contributo dell’immigrazione diventa allora indispensabile non solo per risolvere la crisi demografica, ma anche le carenze del mercato del lavoro. Settori interi dell’economia europea soffrono infatti di una penuria strutturale di mano d’opera e le recenti decisioni italiane con rumeni e bulgari ne è stata una prova. Nonostante la frammentazione dei mercati del lavoro in Europa – una forma di sovranità   molto attiva – alcune tendenze «europee» sembrano manifestarsi: aumentano i visti stagionali e settoriali (si vedano le vicende post-2004), vengono liberalizzate le condizioni di ingresso per i migranti altamente qualificati, ma vengono contemporaneamente limitati i ricongiungimenti familiari (oltre alla Bossi-Fini, in Olanda è salita da 18 a 21 l’età   richiesta per la moglie ed è stato innalzato il livello delle risorse richieste; in Danimarca aumento a 24 anni per l’età   del congiunto e così in tre anni l’immigrazione familiare si è ridotta di due terzi).
E così l’Europa continua a procedere a zig-zag: lungi da essere compiutamente una terra di accoglienza o una «fortezza impenetrabile» è di volta in volta l’una o l’altra a seconda delle congiunture economiche o degli umori delle sue impaurite opinioni pubbliche.
Ma alloraà¢à¢â€š¬à‚¦ «dove stiamo andando»?

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