La prima buona notizia delle previsioni autunnali di Bruxelles per l’economia europea risiede nel coraggio di fare previsioni in questi tempi incerti, segnati da conflitti militari diffusi e tensioni commerciali che pesano sui mercati dove non sono escluse bolle speculative nel settore delle tecnologie avanzate, con esiti difficili da anticipare.
Non è questa la sola buona notizia per l’UE che, come annunciato il 17 novembre dalla Commissione europea, ha registrato nei primi tre trimestri di quest’anno una crescita superiore all’attesa e prevede un’espansione moderata anche nel prossimo triennio.
Già pochi giorni prima la Banca centrale europea aveva anticipato dati simili, ma attirando l’attenzione su uno sviluppo economico a due velocità, davanti a tutti Spagna, Francia e Olanda, in fondo alla classifica Germania e Italia. Rilievi confermati dalla Commissione europea che segnala contemporaneamente l’aumento dei deficit pubblici nell’UE, destinati ad aumentare dal 3,1% del Prodotto interno lordo (PIL) al 3,4% nel 2027 con una crescita del debito pubblico medio UE all’85% del PIL.
Va inserita in questo quadro la situazione dell’Italia: un bicchiere mezzo pieno nella riduzione del deficit, ma non del debito, previsto in crescita al 137,2% nel 2027; un bicchiere quasi vuoto nelle previsioni di crescita con un aumento del PIL nel 2025 di appena 0,4% e allo 0,9% nel 2027, il solo Paese UE a restare sotto l’1% quando la crescita madia UE sarà dell’1,5%. A parziale consolazione per l’Italia un contenimento dell’inflazione all’1,7% quest’anno per poi risalire al 2% nel 2027, percentuali che probabilmente non convincono chi è alle prese con il carrello della spesa alimentare..
In estrema sintesi, un andamento fiacco dell’economia europea zavorrata da ritardi nei settori più avanzati delle nuove tecnologie, oltre che dalla tempesta dei dazi e dalla necessità di aumentare significativamente le proprie risorse per la spesa militare.
Quanto all’Italia l’economia stagnante non è una novità da tempo e non è certo migliorata con il nuovo governo la cui stabilità non sembra offrire una base di rilancio della produttività nazionale.
Anzi, andrà presto fatta una valutazione approfondita dei risultati di quella straordinaria dotazione finanziaria che è stato il Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), con il quale l’Unione Europea ha messo a disposizione dell’Italia 194 miliardi di euro, primo Paese beneficiario nell’UE. Purtroppo i dati a disposizione oggi non danno buone notizie, tanto per i ritardi accumulati nella realizzazione del Piano che, a meno di un anno dalla scadenza, ha registrato una spesa solo del 48,6% dei finanziamenti disponibili, con ormai la certezza di non poter usufruire del totale disponibile, quanto per le riforme richieste e ancora in gran parte in attesa di essere adottate.
Ma è sul versante della crescita economica attesa dall’attivazione del PNRR che andrà giudicato l’operato dell’attuale governo che aveva avuto in carico il Piano, trasferitogli dal governo Draghi, nell’ottobre del 2022. A tre anni di distanza, una prima valutazione della Commissione europea dell’ottobre scorso registra effetti indiretti sul PIL italiano inferiore alle risorse ricevute, in controtendenza rispetto a quanto sono invece riuscite a fare Francia e Germania.
Si tratta di numeri impietosi che raccontano quanto la nostra tanto declamata “Nazione” rimanga un Paese che perde costantemente terreno in fondo alla classifica europea, senza che si intravvedano sviluppi incoraggianti con la legge finanziaria attualmente in corso di adozione.













