Sì va moltiplicando in questi tempi confusi il richiamo all’Europa come “invenzione”. Lo rivelano titoli di libri recenti, come quello dello storico Franco Cardini, e cicli di dotte conferenze, come quelle organizzate dall’editore Laterza, ma anche facili slogan e battute più leggere.
Il tema è interessante e l’occasione è buona per ricavarne qualche riflessione sul futuro di questo nostro piccolo quasi-continente, oggi nell’occhio del ciclone che investe in mondo, dandogli proprio quella centralità per altri aspetti negata.
Non perdiamo troppo tempo a smontare gli slogan per i quali l’Europa è un’invenzione nel senso di qualcosa che non esiste, pura fantasia di quanti sognano un futuro di pace e solidarietà, traguardo ritenuto impossibile in questo mondo di egoismi e guerre.
Se non smentisce questo luogo comune la geografia , lo fa la storia. Certo non basta la geografia per inventare Europa, questo “piccolo promontorio dell’Asia”, come il secolo scorso ci aveva avvertito Paul Valéry. Per rendersene conto basta guardare il suo incerto confine orientale, di questi tempi in movimento senza bene sapere fino dove, come ci interrogano gli allargamenti dell’Unione Europea in cantiere, verso i Balcani ed oltre, Ucraina compresa.
E se a ovest e a nord oceano e mari sembrano tracciare una linea riconoscibile, va diversamente a sud, in quel mondo mediterraneo che fu “la culla d’Europa” e non solo sulle sue sponde settentrionali.
Tocca allora alla storia dire se Europa sia un’invenzione e quanto questa sia riuscita, ricordando che “inventare” deriva dal latino e significa “trovare”, in particolare qualcosa di nuovo, che non si conosce o che non esiste ancora.
Nei secoli di Europe se ne sono inventate e trovate a più riprese:
dalle straordinarie conquiste dei romani all’Europa nata dalla vittoria di Carlo Martello sugli arabi a Poitier nel 732; dall’impresa imperiale di Carlo Magno a quella, mille anni dopo, di Napoleone fino alla drammatica “unificazione” del continente, tentata e fortunatamente sconfitta, con il Terzo Reich di Adolf Hitler, per citarne solo alcune.
Tempi recenti ci hanno proposto un’Europa più felice, costruita con gli strumenti degli scambi economici e che per ottant’anni ci ha permesso di godere di una lunga tregua, fino ad allora sconosciuta per le sue dimensioni ai litigiosi “Stati-nazioni” di questo nostro continente permanentemente in guerra per secoli.
Fu un’invenzione straordinaria quella della prima Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA) che mise le materie prime della guerra al servizio di un progetto di pace.
Sarebbe stata un’altra coraggiosa invenzione quella della Comunità europea della difesa (CED), se non fosse stata affondata dall’Assemblea francese nel 1954.
Fu un’invenzione più realista e in parte riuscita quella della Comunità economica europea (CEE) nel 1957, diventata Unione Europea (UE) nel 1992 con il Trattato di Maastricht, in preparazione del balzo verso la riunificazione continentale con il grande allargamento ad est nel primo decennio di questo secolo.
Dentro questa invenzione di una “grande Europa”, un’altra straordinaria invenzione ha preso forma: un sogno coltivato da anni e finalmente diventato realtà. Quello della laboriosa costruzione della moneta unica, l’euro, un coraggioso quasi temerario trasferimento di sovranità alla Banca centrale europea (BCE) ad oggi da parte di venti fragili “Stati-nazione”, diventati meno nazioni sovrane dentro un’Unione monetaria che ci ha protetti – l’Italia in particolare – nelle crisi finanziarie di questi ultimi vent’anni.
Altre invenzioni d’Europa riuscite andrebbero ricordate, come la creazione nel 2020 di un debito comune per rispondere alla crisi indotta dalla pandemia, senza trascurare però le invenzioni non riuscite e le occasioni mancate che purtroppo non sono poche: dai passi lenti sul versante di una giustizia comunitaria e di una fiscalità europea all’ancora incompiuta coesione economica e sociale fino all’assenza di una politica estera e di sicurezza comune.
Ma è nella natura delle invenzioni mancare il bersaglio, magari sbagliando gli ingredienti: ma è anche sbagliando che si impara, a patto di avere pazienza e coraggio, due virtù che spesso mancano a una classe politica miope, timorosa di perdere il consenso alle prossime elezioni, dimenticando che l’invenzione di un nuovo progetto europeo richiede ambizione, tenacia e la generosità di lavorare per le generazioni che verranno.













