Se l’Europa è la terra dell’incontro tra culture

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«Chiunque uccida un innocente è come se avesse ucciso l’umanità’ intera» – Corano, 5:32.

«Avete inteso che fu detto agli antichi: “Non uccidere; chi avrà ucciso sarà sottoposto a giudizio”. Ma io vi dico: Chiunque si adira con il proprio fratello, sarà sottoposto a giudizio» (Mt 5,21-22).

Parte da qui una delle tante riflessioni che si possono e si devono fare nei giorni in cui Parigi, l’Europa il mondo danno l’ultimo saluto a «ragazzi normali» che in un venerdì sera «normale» dell’autunno parigino stavano trascorrendo una serata normale.

Sono morti in 129 (e 300 sono i feriti) per la follia omicida di terroristi che al grido di “Allah è grande” hanno sparato, si sono fatti esplodere, hanno perso ostaggi.

Ma che cosa c’entra Allah (e cosa c’entra il Dio di qualunque religione) con la follia degli uomini? Con la morte violenta di cittadini inermi?

Non c’entra proprio niente: la sacralità della vita è centrale in tutte le più grandi religioni della storia.

Ce lo ha ricordato Papa Francesco domenica 15 novembre all’Angelus: «La strada della violenza e dell’odio non risolve i problemi dell’umanità (…) utilizzare il nome di Dio per giustificare questa strada è una bestemmia».

Ce lo dicono anche le migliaia di musulmani che sabato pomeriggio hanno sfilato in strade e piazze silenziose e cariche di dolore, abbracciando giovani avvolti nella bandiera francese, tenendo per mano altre persone e condividendo con loro paura (quella paura a cui bisogna trovare il coraggio di non cedere) e sgomento.

Quegli uomini e quelle donne sono venute in Europa perché vi hanno visto un luogo di pace e di rispetto delle identità e dei diritti, alcuni di loro sono cittadini europei, anche coloro che non lo sono vivono e, lavorano in Europa e sono veri e propri attori di sviluppo sia delle nostre economie (123 miliardi di euro la ricchezza prodotta dai migranti solo in Italia, secondo il Rapporto di Caritas Migrantes 2013) sia nei Paesi di origine (circa 30 miliardi all’anno di rimesse dall’UE nei Paesi terzi secondo i dati Eurostat).

Molti di loro, poi (e il pensiero va sicuramente a quelli arrivati recentemente sulle coste europee ma anche a coloro che sono arrivati a piedi nel cuore dell’Europa) sono scappati proprio da regimi fondati sul terrore.

Cosa possono pensare questi nostri “concittadini del quotidiano” (a prescindere dai riconoscimenti formali) vedendo le immagini della notte che ha sconvolto il cuore dell’Europa (e forse il mondo)? E cosa possono pensare leggendo certi titoli decisamente inqualificabili di alcune testate anche nostrane?

Ce lo hanno detto chiaramente nelle piazze fisiche e virtuali della modernità, già all’indomani della strage di Charlie Hebdo: «non nel mio nome», «#not in my name» perché, come si legge sul sito che ospita i video della Campagna, chi compie questi atti è «anti-islamico», «abusa dei cuori e delle menti», «è privo di compassione», altro sentimento a cui ci invitano tutte le grandi religioni della storia.

Coloro che oggi dicono #not in my name sono parte di quell’ «Islam moderato» a cui in questi giorni scrittori e commentatori chiedono di «alzare la voce» e di «isolare i violenti» e noi, cittadini europei dobbiamo essere al loro fianco, o meglio tutti dobbiamo essere “insieme”, «Uniti nella diversità», accomunati dall’aspirazione alla libertà, dal rispetto dei diritti e dalle salde radici democratiche.

Questo e solo questo è il messaggio che si può e si deve contrapporre a chi semina odio e a chi prova a percorrere con eccessivo semplicismo la ripida discesa che accosta parole come islamico e islamista, musulmano ed estremista migrante e potenziale terrorista.

Se davvero siamo convinti (e noi lo siamo da dieci anni) che l‘Europa sia la terra dell’incontro tra culture, non c’è momento più importante di questo per portare avanti con forza le nostre convinzioni soprattutto nel confronto con le generazioni più giovani e soprattutto di fronte a coloro che non la pensano come noi, perchè anche così si costruisce nel piccolo l’Europa dell’incontro tra culture e della tolleranza.

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