Polonia e Unione Europea, sopravvivere da separati in casa

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All’origine dell’attuale Unione Europea ci furono sei Paesi fondatori; con Belgio, Olanda, Lussemburgo e tre altri più rilevanti per popolazione e peso economico e politico: Italia, Francia e Germania, questi due ultimi tradizionalmente alla guida del processo di integrazione comunitaria, affiancati con alterne fortune dall’Italia. Accadeva tra il 1951 e il 1973 prima che nella Comunità europea facesse il suo ingresso il Regno Unito, insieme con Irlanda e Danimarca, modificandone la geografia in progressiva dilatazione con l’adesione nel 1985 di Spagna e Portogallo e poi con l’arrivo nel 1995 di Austria, Finlandia e Svezia. 

L’abbattimento del Muro di Berlino aprì la strada al grande allargamento dell’Unione ad est nel 2004 con una decina di Paesi tra i quali, particolarmente rilevante, a titoli diversi, la Polonia: un Paese con una storia travagliata, presa in tenaglia tra Occidente ed Oriente, tra Unione Sovietica e Germania, vittima di aggressioni sanguinose da entrambe le parti.

Oggi – dopo l’uscita del Regno Unito dall’UE – la Polonia, per dimensioni demografiche ed  economiche tallona da vicino, con la Spagna, i tre principali Paesi fondatori, in un gioco di alleanze che, con la guerra ai suoi confini, si vanno ricomponendo attorno alla coppia franco-tedesca riattivando il dimenticato “Triangolo di Weimar” creato nel 1991. 

Tutto questo imposto anche dalla sua singolare geografia, segnata da molti confini sensibili: nell’UE, con la Germania, la Repubblica Ceca, la Slovacchia e la Lituania; fuori dall’Unione, con l’Ucraina, la Bielorussia e la Russia. Tanti, troppi confini che la portano al centro di tensioni ad alto rischio fuori dalla casa comune europea e con vicinati domestici con cui non è sempre facile convivere.

Da tempo le sue frontiere calde hanno spinto la Polonia, con il terzo esercito NATO, ad una spesa militare attorno al 5% del Pil, tre volte quella dell’Italia, temperando progressivamente la sua tradizionale dipendenza politica dagli USA verso una prudente autonomia, avvicinandola a Francia e Germania in una rafforzata alleanza europea, cui si è aggregato anche il Regno Unito.

E’ questa la Polonia, che domenica ha affrontato un ballottaggio per le elezioni presidenziali, il cui esito è importante anche per l’Unione Europea. Si affrontavano nella competizione elettorale,  testa a testa, una candidato progressista e pro-europeo, il sindaco di Varsavia Rafal Trzaskowski, e l’ultra-nazionalista di destra, Karol Nawrocki, per un ruolo presidenziale dotato di un forte potere di interdizione, in grado di bloccare le iniziative legislative del governo presieduto dal premier pro-europeo Donald Tusk, impegnato a riportare, dalle elezioni dell’ottobre 2023, la Polonia verso il rispetto dello Stato di diritto, protagonista importante nell’UE alle prese con la guerra della Russia all’Ucraina.

La vittoria, seppur di misura del candidato nazionalista,  Karol Nawrocki, non si limiterà a rendere la vita difficile al premier europeista Donald Tusk, di cui potrà contrastare la politica in favore del ristabilimento dello Stato di diritto, ma contribuirà a modificare gli equilibri politici europei,  rafforzando il ritorno alle sovranità nazionali di una maggioranza di governi UE e contribuendo a bloccare sviluppi europei in senso federale.

Sul versante della politica estera gradiranno l’esito elettorale i due gemelli-guastatori dell’UE:   Donald Trump, che vede le pecorelle restare nell’ovile atlantista, e Vladimir Putin che vede ulteriormente indebolita l’alleanza europea con l’Ucraina, per Nawrocki da tenere fuori dalla NATO, ostacolando per quanto possibile anche al suo ingresso nell’UE.

Così adesso, come se tutti gli altri problemi non bastassero, si dovrà fare i conti con una difficile situazione di “separati in casa”: in Polonia, tra presidente e premier, con il rischio di elezioni politiche anticipate; nell’Unione Europea, tra i Paesi che vogliono più Europa e quelli che dell’Europa pensano di poter fare a meno.    

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