Donald e Ursula, quello che resta dell’Occidente

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Sarà pur vero che la storia, quella della durata lunga, la scrivono i popoli, ma sulle sue pagine qualche scarabocchio lo lasciano anche leader di passaggio, con conseguenze non irrilevanti.

In quello che resta dell’Occidente, oggi in aspra competizione con la vasta coalizione di Paesi appena riunitasi in Cina, due figure sembrano destinate ad interpretarne provvisoriamente il rischio di tramonto sulle due sponde dell’Atlantico: Donald Trump, presidente “imperiale” USA, e Ursula von der Leyen, presidente fragile di un’Unione Europea disunita e confusa.

Entrambe le figure sono all’opera in due democrazie imperfette: quella americana “sequestrata” da Trump alle spese dell’equilibrio liberale dei poteri dello Stato; quella europea, legittimata da un Parlamento, frammentato e debole, e prigioniera del voto all’unanimità a protezione degli interessi nazionali dei Paesi membri UE.

Si confrontano nello spazio occidentale un presidente americano, provvisoriamente detentore nei fatti di pieni poteri, e una presidente della Commissione europea detentrice da tempo di crescenti debolezze, sue e delle Istituzioni UE, come si è ripetutamente constatato nella contesa dei dazi e negli scambi sul futuro dell’Ucraina, per non parlare della vergogna europea a proposito di Gaza.

Se questi fossero mai i due campioni rappresentativi dell’Occidente, allora davvero il suo tramonto – come dice il suo nome – è vicino, forse inevitabile. E non solo perché muovono in direzioni opposte, e spesso incompatibili, ma perché sono leader fragili e solitari, lontani dalle attese dei  popoli che rappresentano e che prima o poi ne provocheranno la caduta, forse rovinosa ma forse anche liberatoria.

Intanto prime verifiche sono già in vista, alcune a seguito delle azioni o inazioni intraprese sui due versanti, altre nelle sedi sopravvissute della vita democratica sulle due sponde dell’Atlantico.

Una verifica importante è imminente per Ursula von der Leyen, reduce dall’umiliazione subita in Scozia alla corte di Trump nella gestione della trattativa sui dazi e responsabile della tardiva risposta al massacro israeliano a Gaza, cui si aggiungono i recenti malumori provocati dalla sua proposta per il bilancio comunitario 2028-2034. 

Una data è già fissata: sarà il prossimo 10 settembre, quando la presidente della Commissione si presenterà davanti al Parlamento a Strasburgo per il suo discorso annuale sullo stato dell’Unione, non proprio in buona salute, come nella gestione delle trattative per una tregua in  Ucraina, tema sul quale pesa per Ursula anche l’accusa, davanti alla Corte europea di giustizia, per non aver consultato il Parlamento europeo su parte dei finanziamenti comunitari destinati al riarmo.

Sarà interessante vedere come si posizioneranno le forze politiche europee, in particolare quelle che composero la maggioranza cui Ursula deve la sua rielezione e oggi sempre più critiche sulla sua fedeltà agli impegni presi. Così come sarà illuminante costatare quale sarà il consenso che Ursula otterrà dai governi nazionali UE quando saranno chiamati a votare l’accordo sui dazi.

Tutto più facile sembrerebbe invece, all’apparenza, per Trump “uomo solo al comando” in quello che resta della mitica democrazia americana: qui, salvo imprevisti e imminenti sentenze delle Corti USA, bisognerà aspettare le prossime elezioni di mid-term quando, a novembre 2026, andrà ad elezioni politiche l’intera Camera e un terzo del Senato.

Senza dimenticare che la storia del mondo vive una forte accelerazione e sorprese sono possibili per tutti, USA e Unione Europea comprese: gli Stati Uniti perché particolarmente esposti dalle irruzioni di Trump a gamba tesa un po’ ovunque; l’UE perché fragile con le sue Istituzioni comunitarie ormai inadeguate e i suoi governi alle prese con opinioni pubbliche inquiete per le prospettive economiche e per i rischi che corre la tregua vissuta finora da un’Unione che non ha colto questa occasione per costruire una sua autonoma strategia di pace. 

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