Il malessere europeo al centro delle discussioni
Si è svolta sabato 3 marzo a Cuneo, presso il Centro Incontri della Provincia, una conferenza sul tema: « Il malessere europeo», nell’ambito dell’ormai tradizionale manifestazione cuneese «Parole fra continenti – Mostra Internazionale del libro Nord-Sud», giunta alla settima edizione.
Alla vigilia del 50° anniversario della firma del Trattato che istituiva la Comunità economica europea (Roma – 25 marzo 1957), è tempo di bilanci per quest’Unione europea dalla storia difficile e spesso tortuosa.
Un’Unione europea nata come una scommessa e vissuta come una conquista: un continente che aveva nel suo DNA la guerra (è stato calcolato che, negli ultimi 10 secoli, ci siano state guerre sul territorio europeo ogni 40 anni) e che, grazie all’ingegno e alla lungimiranza di uomini della statura di De Gasperi, Schuman e Spinelli, ha realizzato un territorio pacificato, su cui la guerra è diventata «impensabile», oltre che «materialmente impossibile».
Nella colonna dell’attivo dell’Ue, possiamo inserire anche uno sviluppo economico di lunga durata, una discreta generosità (è la prima donatrice mondiale per quanto riguarda gli aiuti umanitari), un ruolo di leadership tra le potenze commerciali mondiali, una moneta unica solida e dal grande potere federatore, la salvaguardia di un modello sociale che, benchà© presenti ancora parecchie lacune, è probabilmente il migliore al mondo, una fiscalità relativamente solidale, un forte ruolo delle parti sociali e una certa cultura dell’accoglienza, che ha fatto sì che l’Ue, nei suoi circa 50 anni di vita, si sia «allargata» a 21 stati, raggiungendo la «Taglia-27».
Dove risiede allora il malessere dell’Europa, di un’Ue che «ha fatto tanto, ma non ha fatto tutto»?
I mali dell’Ue sono spesso legati agli egoismi degli Stati nazionali, che si rifiutano di realizzare una politica estera e di difesa comune, o di «comunitarizzare» il settore fiscale e la politica sociale.
In quest’Unione in cui la povertà è ancora una grossa piaga sociale (con oltre 60 milioni di poveri), in cui ci si riduce a parlare di «lavoro decente» e in cui – a differenza di 50 anni fa, quando si era decisa la collaborazione sui settori-chiave dell’economia, il carbone e l’acciaio – si stenta a realizzare politiche comuni in ambiti cruciali per l’odierna società , quali l’energia,l’ambiente e la ricerca, spesso le speranze sono «vaghe» e i «timori precisi».
Le soluzioni a questo «malaise»?
Anzichà© adeguarsi alla globalizzazione, cercare di gestire il fenomeno, portando, in questo mondo sempre più confuso, un esempio di democrazia, libertà e rispetto dei diritti umani, un modello aperto ad ogni Stato che ne rispetti i principi e valori fondanti.
Per l’Unione europea, l’unica strada percorribile è quella di continuare sulla strada di una riforma dei trattati, per rafforzare il ruolo del Parlamento europeo e abbandonare il meccanismo decisionale dell’unanimità , che sempre più spesso ne paralizza l’azione, aumentare il dibattito e il coinvolgimento dei cittadini, nonchà© la dimensione transnazionale delle sue politiche.
In conclusione, molto c’è ancora da fare per rendere più funzionale e coesa quest’Europa, che non ha realizzato tutto, ma ha comunque fatto tanto: cerchiamo dunque di superare questo malessere europeo, perchà© di fatto, in questo mondo «sempre più grande e sempre più piccolo» in cui non esistono alternative all’Europa, l’unica possibilità è realizzare un’Europa migliore.
Credo che sia davvero giunto il momento di “Aumentare il dibattito e il coinvolgimento dei cittadini, nonché la dimensione transnazionale delle sue politiche.” Il problema è ovviamente come e forse il malessere è anche dato dall’impotenza che nasce dal sapere che fare e dal sapere di non fare.
In questo momento però credo che l’Europa dovrebbe avere il coraggio di accettare di essere in “crisi” (in senso etimologico), una crisi esistenziale che dopo 50 anni di “crescita” sarebbe comunque dovuta arrivare e che se denunciata come necessaria alla sua evoluzione, non potrà che essere salutare. Insieme al dialogo interculturale abbiamo bisogno di dialogare sul nuovo slancio da dare alla vita di cittadini che credono di aver raggiunto una civiltà , ma che da troppo tempo non dicono più quale sia davvero.
Maria Cantoni