Le farfalle di Sarajevo, di Priscilla Morris

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Neri Pozza (2023)

Prezzo: 18,00 €

Quest’estate ho deciso di passare le mie vacanze estive in un Paese che volevo visitare da molto tempo, e che è stato in grado di colpirmi nel profondo per la sua storia ancora viva in ogni strada, in ogni palazzo e negli occhi di uomini e donne poco più grandi di me, che la guerra l’hanno vissuta e la ricordano bene. 

Sono partita per la Bosnia ed Erzegovina con in valigia una lettura consigliata da Adriana Longoni, che ha accompagnato questo viaggio disegnando nella mia mente, in maniera reale e suggestiva, il contesto passato e presente dei luoghi che ho percorso: Le Farfalle di Sarajevo, di Priscilla Morris. 

In questo romanzo, l’autrice racconta la storia di una pittrice paesaggistica, Zora, e della sua famiglia, basata sull’esperienza autobiografica del prozio. L’assedio di Sarajevo è stato inaspettato per la sua popolazione, ma lungo e logorante: cominciato il 5 aprile 1992 e conclusosi il 29 febbraio 1996, si è protratto per 1425 giorni e ha tolto la vita a circa 12 mila persone. Da quel momento, tra morti e migrazioni forzate, la popolazione della capitale si è dimezzata, e i segni dei mortai e delle granate sono ancora incisi e ben visibili sui palazzi e per le strade della città. 

La storia di Zora e della sua famiglia racconta la storia di migliaia di famiglie sarajevesi, colte di sorpresa da una guerra che sembrava non avrebbe mai colpito la loro città.  Già da tempo, tuttavia, la notte bande di nazionalisti con il viso coperto avevano iniziato a costruire barricate con i mobili, dividendo la città in enclave etniche: la mattina gli abitanti (musulmani, serbi, croati) rimuovevano quelle barriere e continuavano le loro giornate fingendo di non vedere quanto si stava addensando all’orizzonte. 

Mezza Sarajevo è musulmana, un quarto serba, meno di una persona su dieci è croata. Un terzo dei matrimoni è misto e i figli si definiscono semplicemente “jugoslavi”. Sono tutti slavi, comunque. E’ semplicemente impossibile dividere una città o un paese così eterogenei. Sarebbe come cercare di separare la farina e lo zucchero in una torta, come piace dire al presidente bosniaco”. 

Sarajevo è ed è sempre stata un luogo di incontro tra culture: la sua stessa architettura, per metà asburgica e per metà ottomana, rappresenta il perfetto crocevia tra occidente ed oriente, il fulcro di una ricchezza e di un melting pot culturale straordinari. Eppure, sono proprio queste differenze, prima quasi invisibili, ad emergere mano a mano tanto nelle pagine di questo libro quanto negli interminabili giorni di assedio della città di Sarajevo. Quello che prima era semplicemente un vicino di casa, un amico, mano a mano prende una connotazione sempre più etnicizzata e diventa “un serbo”, “un croato” o “un bosgnacco” (musulmano). 

La quotidianità diventa una sfida alla sopravvivenza dal freddo, dai cecchini, dalla fame, e ogni contatto umano sembra assumere un connotato diverso: “Siamo tutti profughi ormai. Passiamo i giorni ad aspettare acqua, pane, aiuti umanitari: mendicanti nella nostra stessa città”. 

Le farfalle di Sarajevo racconta la storia dolorosa di una donna e di una città assediate dalla violenza e dal dolore, la storia di una guerra crudele, a memoria di un recente passato troppo facilmente dimenticato, anche dalla vicina (e promessa) Europa. 

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