Contro il potere della disinformazione

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L’informazione passa sempre più attraverso i social media e sempre più appare come disinformazione.

Appena la metà (circa il 54% nel 2016) dei cittadini europei che si informano sui social controlla l’attendibilità delle fonti e quasi sei notizie su dieci vengono condivise senza neppure esser state lette. Le fake news, le più nostrane bufale, non sono certo una novità, ma oggi proliferano su internet e, in particolare grazie alle possibilità di personalizzazione e condivisione offerta dai social media, si diffondono con una rapidità prima sconosciuta. Le ragioni che muovono la loro creazione e diffusione sono molteplici. Si va dal clickbaiting, che attira l’internauta verso una determinata pagina web per generarvi traffico e quindi produrre guadagni attraverso la pubblicità, alla manipolazione politica dell’opinione pubblica, emersa spesso nel corso delle recenti elezioni e che minaccia l’integrità della stessa Unione Europea. Inoltre, i social si prestano alla propaganda populista e il dileggio pubblico e il discorso d’odio (hate speech) vi trovano (pre)potente diffusione.

Il Parlamento europeo ha espresso grande preoccupazione nei confronti della disinformazione on-line e della propagazione attraverso i social di populismo e discorso d’odio. L’argomento è stato discusso, infatti, in sede plenaria lo scorso 5 aprile, ma l’accordo su una possibile soluzione appare lontano. Alcune proposte avanzate incoraggiano l’auto-regolamentazione della “rete” e l’alfabetizzazione mediatica dei cittadini, in particolare i giovani; altre sostengono piuttosto il ricorso ad azioni legali e sanzioni; entrambe le forme sono state accolte da avvertimenti contro la censura e il controllo pubblico dei mezzi di comunicazione. Alcuni deputati hanno chiesto alla Commissione europea di vagliare la possibilità di una nuova legislazione dell’UE in merito; altri auspicano invece un intervento più ampio, che consideri adeguatamente le ragioni sociali del populismo e del discorso d’odio.

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