La banalità del bene: Ennio Pistoi

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Prendendo spunto dal celebre libro di Hannah Arendt “La banalità del male”, questa rubrica vuole essere una provocazione al contrario, con l’obiettivo di narrare storie di eroici personaggi più o meno contemporanei che hanno segnato la storia per i loro sacrifici e la loro immolazione a favore di un progresso umano. La rubrica mensile vuole essere un atto di descrizione di come il bene possa esistere, e il titolo vuole essere una provocazione per dimostrare come la ricerca del progresso non sia banale, ma, al contrario, di come possa essere un umano atto eroico.

Ennio Pistoi

Biografia e storia

Il 20 maggio 1920 nacque a Roma Ennio Pistoi, in seguito riconosciuto come una figura di spicco della storia partigiana piemontese.

Come molti partigiani delle valli del cuneese, la sua vita è stata profondamente segnata dalla guerra, che ne ha condizionato tutta la sua esistenza. Ennio Pistoi, infatti, dopo essere rientrato nel giugno del 1943 dalla tristemente celebre missione in Russia, decide di partecipare all’organizzazione della prima formazione partigiana “Valle di Lanzo”. A quell’epoca Ennio viveva a Torino, dove si era trasferito con la famiglia nel 1927. L’attività di partigiano diventa un impegno che non gli impedisce di rischiare anche la propria vita: il 19 settembre 1944 libera, insieme ad altri quattro uomini, 148 detenuti del Carcere Militare di Via Ormea di Torino, destinati alla deportazione in Germania. Dopo questo episodio continua la sua lotta operando all’interno del SIMNI (Servizio Informazioni Militari del Nord Italia) con incarichi di comando e occupandosi principalmente della rete informativa clandestina radiofonica.

Durante le sue attività partigiane viene arrestato tre volte, di cui la terza per opera delle SS tedesche, scampando miracolosamente alla fucilazione e vedendo la propria liberazione il 25 aprile 1945.

Negli ultimi anni di vita diventa presidente del Centro Studi Giorgio Catti e dell’Associazione Partigiani Cristiani, sezione provinciale Torino, riuscendo così a dedicarsi in modo particolare ai giovani attraverso degli incontri nelle scuole e nei luoghi della memoria.

Scrive un libro, inizialmente dedicato ai suoi nipoti e in seguito diventato un libro di fruibilità pubblica, intitolato “Nonno Ennio racconta – perché parlare di resistenza ai giovani” edito da l’Arciere nel 1997.

Muore a Torino il 5 febbraio 2009, decorato con la Medaglia al Valor Militare.

 

A  proposito di Europa…

Nel suo libro Ennio sostiene che i partigiani abbiano combattuto non tanto per le vittime innocenti né tanto meno per i carnefici, ma per la pace e la giustizia: valori che sono e restano ben al di sopra degli screzi umani. Non solo, l’autore sottolinea quella superiorità e quell’idealità platonica che tutti noi possiamo cogliere nella loro purezza nella nostra Costituzione; una lotta non finalizzata alla salvaguardia delle vite umane ma perlopiù dei valori partigiani per i quali all’epoca si era disposti a morire. L’odio per gli uomini scompare, lasciando spazio unicamente ad un amore per la giustizia e la pace, i pilastri che ad oggi garantiscono la sopravvivenza del genere umano, valori superiori e immortali che rappresentano le basi sulle quali è stata costruita l’Unione Europea e che al giorno d’oggi vengono pericolosamente e troppo frequentemente messi in discussione.

Da: “Nonno Ennio racconta – perché parlare di resistenza ai giovani”, l’Arciere, 1997

 

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