Invito alla lettura: “Populismo e Stato sociale”

di Tito Boeri, Laterza, 2017. (pp.48, € 9,00)

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«I movimenti populisti offrono risposte sbagliate a problemi reali e vissuti da milioni di persone» così scrive Tito Boeri nella premessa di “Populismi e Stato sociale”.

Si tratta di un saggio agile e di stringente attualità per chi vuole comprendere da quali argomenti il populismo trae oggi la sua forza.

La definizione di populismo che Boeri sceglie di adottare è quella del politologo olandese Cas Muddle, secondo la quale il populismo vede e rappresenta la società come composta da due gruppi monolitici e omogenei. Tutto ciò che “sta nel mezzo” è “nemico della democrazia”.

C’è qui un primo punto importante di attenzione. La democrazia difesa a spada tratta dai populisti è quella diretta, non quella liberale fondata sulla tutela delle minoranze e sul ruolo dei corpi intermedi come garanti dell’equilibrio dei poteri e come costruttori di coesione sociale, è la democrazia degli “umili contro i potenti”.

Dopo una veloce citazione dei precedenti storici del populismo (Il People Party statunitense, il movimento Poujadista in Francia e il “Fronte dell’Uomo Qualunque” nell’Italia del 1948) e delle sue concrete realizzazioni (l’Argentina di Peron, il Perù di Fujimori, il Venezuela di Chávez), Boeri mette in evidenza il corto respiro dei regimi populisti (spesso di carattere dittatoriale) che hanno una prima fase «idilliaca» (politiche espansive, miglioramento del benessere diffuso aumento dei salari e del potere d’acquisto) ma poi vengono schiacciati dalle pressioni macroeconomiche trans-nazionali (inflazione collasso dei sistemi economici, richiesta di aiuto al Fondo Monetario internazionale) con un peggioramento irreversibile della situazione anche in termini di reddito pro-capite.

In Europa non c’è il rischio di deriva dittatoriale ma le dimensioni numeriche del consenso dei movimenti populisti (unificati da tendenze anti-Europa e anti-immigrazione) cominciano a farsi preoccupanti soprattutto perché quei numeri sono anche i numeri della sfiducia,  della non partecipazione politica e costringono le altre forze politiche all’inseguimento (rinunciando spesso ad alcuni principi fondanti di altre identità politiche e culturali) o a coalizioni molto eterogene che non sanno dare risposte efficaci ai problemi del dopo-crisi.

In Europa i movimenti populisti hanno successo perché colgono la crescente domanda di protezione sociale (di cui è portatore soprattutto chi a causa della crisi si è trovato a fronteggiare un impoverimento inedito) e la sfiducia nei confronti di chi questa protezione dovrebbe offrire: le classi dirigenti, corrotte, lontane dalla vita dei cittadini e incapaci di farsi valere in Europa.

È in questo humus culturale che prendono forza slogan e proclami secondo i quali per ottenere la protezione sociale di cui si ha bisogno è necessario difendere la propria sovranità nazionale e chiudere le frontiere in modo da sbarrare la strada ai migranti, individuati come capro espiatorio dei tagli del Welfare già in essere o necessari.

Il recupero della sovranità nazionale però non produce nessun effetto sul disegno delle politiche sociali, semplicemente perché su di esso l’Europa non interferisce se non quando è la Troika (UE, BCE e FMI) a dettare le condizioni per evitare l’uscita dall’euro di alcuni Paesi in difficoltà con il rispetto dei parametri.

I migranti sono per il Welfare una risorsa imprescindibile: per l’INPS si parla di un punto di PIL regalato – cioè di soldi versati da persone che poi sono tornate nel loro Paese di origine e quindi non hanno percepito pensioni – e di 300 milioni di incassi all’anno.

Ancora, chiudere le frontiere vorrà pure dire evitare l’arrivo di nuovi migranti, ma vuol anche dire «precludere ai giovani l’accesso alla migliore forma di assicurazione contro la disoccupazione»: cioè cercare e trovare lavoro in un altro Paese, alleggerendo anche i carichi del Welfare (sussidi e ammortizzatori sociali).

Per rispondere ai populismi, sostiene Boeri è fondamentale allora evitare le semplificazioni: non si risponde a problemi complessi con risposte semplici o semplicistiche e non è corretto confondere i piani.

Sta sul piano nazionale la costruzione di una risposta alla domanda di protezione sociale: ci vogliono sistemi di protezione che non siano più ciclici ma strutturali e ci vogliono scelte coraggiose e segnali importanti da parte di quei corpi intermedi che sono al tempo stesso bersaglio dei populismi e antidoto alle loro proposte. Rinnovamento delle leadership, “svincolo” da schemi tradizionali che finiscono per rafforzare le garanzie dei garantiti senza estendere l’ombrello a chi è esposto alle intemperie, rispetto di regole uguali per tutti (ad esempio applicazione del sistema contributivo al calcolo dei vitalizi) sono le strade proposte.

Sta sul piano europeo il tema della gestione dei flussi migratori, con particolare riferimento ai rifugiati: politica comune, condivisione delle responsabilità e comune impegno nella creazione di condizioni sostenibili di ingresso e permanenza sono le strade individuate, ma definite dallo stesso Boeri impercorribili, dal momento che oggi sono ben 5 i Paesi Ue in cui i populisti sono al governo.

I due versanti di lavoro e di riforma sopra delineati richiedono tempi lunghi, ma c’è qualcosa che si può fare subito e che potrebbe avere un forte impatto sia materiale sia simbolico: si tratta dell’istituzione dell’European Social Security Identificatin Number (ESSIN), da cui potrebbe costruirsi il codice europeo della protezione sociale, nuovo emblema di un’integrazione che si fonda sui diritti e che non è più conseguenza dell’integrazione economica.

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