Invito alla lettura: “Cosa resta dell’Occidente”

di Gian Enrico Rusconi (ed. Laterza, 2012)

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Il testo di Gian Enrico Rusconi, politologo, docente emerito dell’Università di Torino, sembra quasi un “rito di passaggio” dell’Autore, che dopo alcuni decenni trascorsi a insegnare in ambito accademico scrive quello che egli stesso ha definito, in occasione di una pubblica presentazione, un manuale costruito su alcune riflessioni di ordine generale (in particolare nei primi capitoli, intitolati rispettivamente “Ridefinire la razionalità occidentale”, “L’Occidente diviso e divisivo” e “Il moderno Occidente e le sue contestazioni”) e da alcuni temi circolari, che si aprono e si chiudono nello stesso capitolo (come accade per “Il mondo islamico riprende la parola”, “Post secolarismo, democrazia e razionalità nella fede” e “Razionalità delle nuove guerre”), fino ad arrivare al capitolo conclusivo “La scienza dell’uomo natura” lettura della razionalità occidentale a partire dal darwinismo, tanto modernamente quanto originariamente inteso.

Cosa resta, si chiede Rusconi, della pretesa di universalismo che la razionalità occidentale vorrebbe mettere al servizio dell’Umanità e che storicamente, non solo nel mondo globalizzato di oggi, è stata contestata come foglia di fico di tentativi egemonici retaggio delle ottocentesche identità nazionali?

A qualsiasi aggettivo, sostiene l’Autore, si può applicare il prefisso post (post-moderno, post- metafisico, post- industriale), ma non all’aggettivo occidentale. È dunque tempo di rileggere e di riformulare questo aggettivo, a partire dalla razionalità che vuole esserne l’elemento costitutivo e dalla sua occasionale assenza.

Citando esempi tratti dall’Europa di oggi, Rusconi parla di «deficit» di razionalità, chiedendosi se essi rappresentano un fenomeno sistemico o se sia possibile emendarli con nuove pratiche e nuove azioni.

Vanno riletti, dunque, gli elementi distintivi della razionalità occidentale a partire dai fatti e della teorie, operazione coraggiosa e umile al tempo stesso in un tempo in cui, se è vero che non si può essere post-occidentali, è molto facile trovare chi definisce se stesso o il mondo “filo” o “anti” occidentale (ma anche dall’antimomia filo-anti, così come da quella pre-post, Rusconi invita a tenere le distanze).

La disamina è compiuta alla luce di alcuni fatti, in particolare quelli che più mettono in crisi il “paradigma dell’Occidente”, a cominciare dalla brutale crisi del sistema economico e finanziario globale che produce «mutazioni culturali e politiche ancora incalcolabili».

L’obiettivo e al tempo stesso il risultato raggiunto sono la dimostrazione controfattuale dell’impossibilità di mettere in discussione la razionalità senza compromettere la libertà, intesa in una accezione «minimalista», come l’elemento che «solo in ultima istanza» rende «governato o governabile» quel complesso specifico di costrizioni e opportunità, di cogenze e di chances che vale per l’uomo.

La ricerca di “Ciò che resta dell’Occidente” viene compiuta a tutto campo: filosofia, scienza, geopolitica, economia, mondo accademico, in ogni situazione e in ogni contesto: si parla di pace e di guerra, ci si rivolge a chi si sente occidentale, a chi non si sente e non vuole diventare tale e a chi dell’Occidente si proclama nemico. In ogni campo, Rusconi cita, rilegge e argomenta per arrivare a dire che «Noi» e «Loro» siamo network, poli opposti ma unitari. L’esempio che viene citato è quello della Turchia, islamica e secolare, ma anche «atto mancato» dell’UE, a proposito della quale si parla di «occidentalismo» e «orientalismo» intrecciati in politica.

«Non possiamo congedarci dall’Occidente – scrive Rusconi – perché «siamo noi l’Occidente, ce lo portiamo dentro, anche nelle narrazioni del suo tramonto o declino che alimentano, da oltre cent’anni, una redditizia letteratura».

Siamo noi l’Occidente, e bene faremmo a non dimenticare che l’Occidente e la sua razionalità sono arrivati e possono nuovamente arrivare a deformi mostruosità, rispetto alle quali non è ammessa l’affermazione in base alla quale, quasi con valore apotropaico diciamo «non sono la nostra identità».

Parlando di Islam e modernità, scienza e anima, libertà e determinismo biologico, guerra umanitaria e neocolonialismo globalizzante, Rusconi, che lascia al lettore l’ingrato compito di trarre le proprie conclusioni dai fatti e dalle teorie esaminate, sembra quasi auspicare che ragione, fede e storia non siano perdute nel terzo millennio. Senza voler imporre l’Occidente come «valore universale», suggerisce che ragione, verità, fede, democrazia, ricerca libera, spiritualità, parte della migliore «essenza occidentale», restino imprescindibili componenti del futuro delle civiltà.

Scheda a cura di Marina Marchisio

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