Nobel per la Pace alla “libertadora” venezuelana Maria Corina Machado, tra critiche e speranza    

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“La fiamma della democrazia in mezzo ad un’oscurità crescente”. Così è stata definita Maria Corina Machado dal presidente del comitato per il Nobel Jorgen Watne Frydnes, che ha assegnato alla “dama de hierro” il premio Nobel per la Pace del 2025. Una vittoria insperata anche per Machado stessa, che dichiara: “sono sotto shock”. Probabilmente anche lei si sarebbe aspettata il trionfo di Donald Trump, dopo il raggiungimento di un’intesa per la tregua a Gaza. Tuttavia è stata proprio la vicinanza  con il tycoon e gli ideali conservatori della Machado ad aver suscitato polemiche per quanto riguarda l’attribuzione di uno dei più ambiti riconoscimenti del panorama mondiale. Machado, infatti, ha sempre ricevuto ed appoggiato il sostegno di Washington ed il suo rapporto stretto con Trump è di lunga data. Non ha esitato a ringraziare “immensamente” il governo americano per aver schierato navi da guerra nel mar dei Caraibi ed aver affondato diverse imbarcazioni di presunti narcotrafficanti che hanno portato all’uccisione di decine di vittime, tra cui anche minorenni. Esperti di diritto internazionale e sostenitori dei diritti umani all’interno di organizzazioni come Human Rights Watch denotano l’accaduto come esecuzioni extragiudiziali e che preparano il terreno ad una possibile aggressione del Venezuela da parte degli Stati Uniti, che da ormai due decenni tentano di sovvertire indirettamente il governo socialista di Maduro, e prima di Chavez, ed impossessarsi dei ricchi giacimenti di petrolio. Dunque per molti l’assegnazione del Nobel alla Machado sostenitrice di un intervento così violento potrebbe acuire il conflitto piuttosto che sedarlo, anche per il fatto che nel 2002 e nel 2019 ha sostenuto fermamente due tentativi di golpe dopo aver chiesto nel 2014 un intervento militare diretto ad attori esterni nel suo paese. Tutto ciò, quindi, contrasterebbe con la definizione di lotta pacifica sulla quale si basa il Nobel per la pace.        

Tuttavia è necessario a questo punto ricordare che Machado da più di un anno è costretta a vivere in una condizione di clandestinità nel suo stesso paese per il timore di essere arrestata in seguito alle accuse di aver tradito la patria da parte del regime, a cui non è bastato impedirle di partecipare alle elezioni presidenziali del 2024, dichiarandola ineleggibile nonostante la vittoria schiacciante che avrebbe raggiunto. È per questo che ha fondato nel 2002 Súmate, un’organizzazione dedicata allo sviluppo democratico, in quanto, come ha detto lei: “È stata una scelta di schede elettorali contro i proiettili”. 

Quando in uno stato vengono calpestati valori come il rispetto dello stato di diritto, la libertà di parola e di espressione e la possibilità di gareggiare in elezioni libere e giuste, vengono a mancare i pilastri essenziali della democrazia. Forse, la scelta di appoggiare in modo così evidente le politiche degli Stati Uniti sono viste dalla Machado e da tutti i suoi sostenitori come l’unica possibilità di liberare il loro paese da più di 20 anni di soprusi per riacquistare la propria liberdad, una parola che echeggia nelle strade di Caracas da decenni. E la Machado è stata l’unica a fornire a milioni di venezuelani la speranza di riprendere il futuro della propria nazione nelle proprie mani, lottando coraggiosamente ed instancabilmente. E non a caso, i suoi simpatizzanti le hanno attribuito un altro soprannome oltre a dama de hierro, a mio parere ancora più potente ed evocativo: “la libertadora”.  

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