Votare per l’Europa

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àˆ in arrivo il mega-sondaggio dell’anno: le elezioni europee. Come sempre, l’appuntamento per rinnovare il Parlamento europeo, organo che più di ogni altro rappresenta la democratizzazione del processo di integrazione europea (con l’introduzione del suffragio universale diretto e la progressiva estensione dei poteri e dei campi di azione), viene vissuto in Italia come un esperimento di laboratorio per misurare il consenso delle politiche governative e «pesare» la popolarità   dei partiti nazionali.
Lo dimostra la recente decisione dei due maggiori partiti italiani di accordarsi per riformare la legge elettorale stabilendo un tetto del 4% per accedere all’Europarlamento, decisione che, come pare chiaro a tutti, risponde a logiche eminentemente nazionali.
Infatti, nel Parlamento europeo esiste già   un formidabile strumento per limitare la frammentazione: i gruppi politici transnazionali. I 785 eurodeputati, che rappresentano quasi mezzo miliardo di cittadini, afferiscono a soli 7 gruppi parlamentari. Un gruppo, per essere costituito, deve avere un minimo di 20 iscritti provenienti da almeno un quinto degli Stati membri. Questo perchà© fin dalle origini, ma in particolare dal 1979, anno della prima elezione diretta, il Parlamento è considerato un organo «di integrazione» all’interno del complesso sistema comunitario: ovvero, a differenza di altri organi «di cooperazione» come il Consiglio dei ministri, dove sono gli Stati membri a farla da padrone, il Parlamento esprime la volontà   di tutti i cittadini europei. Per questo parlare di «delegazione italiana» all’interno del Parlamento europeo è in netta contraddizione con lo spirito dei Trattati: non a caso la pratica di «fare lobby nazionale» è particolarmente diffusa fra gli euro-deputati inglesi, non certo famosi per il loro spirito europeista. Per incoraggiare ulteriormente la formazione di gruppi politici transnazionali, il regolamento interno del Parlamento europeo li dota di importanti prerogative: per definire l’ordine del giorno delle sedute, il presidente del Parlamento si consulta con i gruppi; sempre ai gruppi, e non ai singoli deputati, spetta il compito di proporre emendamenti in Aula ai testi predisposti dalle commissioni; i non-iscritti, quindi, sono esclusi da gran parte dei lavori parlamentari, non potendo raggrupparsi in un eterogeneo «gruppo misto», come avviene in Italia.
L’esperienza dei gruppi politici transnazionali all’interno del Parlamento europeo ha costituito per alcuni di loro un punto di partenza per fondare dei veri e propri partiti politici europei, che possono accedere ai finanziamenti pubblici comunitari in quanto riconosciuti dal Trattato come fattori di integrazione che «contribuiscono a formare una coscienza europea e ad esprimere la volontà   politica dei cittadini dell’Unione».
Purtroppo, perà², la maggioranza dei cittadini europei non si rende ancora conto di quanto il loro voto possa contribuire a ridurre il deficit democratico dell’UE. Infatti, secondo l’ultima indagine di Eurobarometro sulla percezione delle elezioni europee effettuata lo scorso novembre, solo il 26% dei cittadini europei era al corrente delle elezioni, il 54% si diceva in ogni caso disinteressato alla questione e un misero 34% dichiarava che probabilmente sarebbe andato a votare.
Interrogati su quali temi dovrebbe incentrarsi la campagna elettorale, gli europei non hanno dubbi: crescita economica (51%), disoccupazione (49%), inflazione e potere d’acquisto (47%) sono ai primi posti, a conferma del fatto che le preoccupazioni dei cittadini europei sono oggi incentrate sulla crisi economica in atto più che sui temi della sicurezza globale come la lotta al cambiamento climatico (29%), l’immigrazione (29%) e il terrorismo (28%), come si evince anche dal confronto con i risultati della precedente indagine condotta in luglio, ovvero prima dello scoppio della crisi. Disaggregando i dati, si puಠnotare come le risposte dei cittadini italiani non si discostino notevolmente dalla media europea, se non per due questioni: gli elettori italiani attribuiscono una minore importanza al cambiamento climatico (15%), mentre ritengono che i candidati al Parlamento dovrebbero esprimersi maggiormente sull’immigrazione (38%).
Questa indagine non permette perಠdi capire quale importanza attribuiscano realmente i cittadini europei ai temi che ritengono prioritari: ovvero, fino a che punto il loro voto dipenderà   dalla condivisione di un programma politico mirato sul ruolo del Parlamento europeo? Quanto, invece, peseranno le appartenenze politiche nazionali o, peggio, il desiderio di «dare una lezione» a questa o quella forza politica nazionale? Quanto si guarderà   alle effimere liste e quanto, invece, ai gruppi politici di riferimento? Quale rilevanza avranno i partiti europei nella campagna elettorale?
Su queste domande, non ci resta che meditare e vigilare attentamente la campagna elettorale che si sta aprendo, in Italia come nel resto d’Europa.

2 COMMENTI

  1. Il modo per risvegliare l’interesse dei cittadini alle elezioni europee c’è, ed è interamente nelle mani dei partiti europei : indicare in campagna elettorale il proprio candidato alla Presidenza della Commissione Europea. Il Presidente della Commissione è nominato dal Consiglio, ma deve ottenere la fiducia del Parlamento, esattamente come nella Costituzione italiana il Primo Ministro è nominato dal Presidente della Repubblica, ma deve avere la fiducia del Parlamento. Nessuna norma o trattato impedisce ai gruppi politici europei di indicare durante la campagna elettorale il proprio candidato. Il candidato dello schieramento vincente non potrebbe non essere nominato dal Consiglio ! Immaginate una campagna in cui ci fosse un candidato di centro destra (Barroso, Aznar o altri) e uno di centro sinistra (Rasmussen, Fischer o altri). La campagna elettorale dovrebbe essere condotta sui temi europei : energia, ambiente, politica estera dell’Europa, diritto di veto…con contrapposizione di idee e pubblici dibattiti fra i candidati.
    Purtroppo i partiti non hanno questo coraggio, preferiscono spartirsi le cariche preventivamente attraverso un accordo dietro le quinte, pensando di evitare rischi, ma senza rendersi conto che così facendo non solo non aiutano il processo di democratizzazione delle Istituzioni Europee, ma danneggiano la fiducia dei cittadini nella democrazia europea e in ultima analisi danneggiano se stessi.

  2. Concordo pienamente sul fatto che i partiti europei dovrebbero attivarsi maggiormente, anche durante la campagna elettorale, sul fronte dell’investitura politica della Commissione. Tuttavia non credo nella personalizzazione della politica, per cui sono scettica sull’indicazione in campagna elettorale di un nome per la presidenza della Commissione. Personalmente penso che l’unico modo per risvegliare un interesse realmente europeo dei cittadini per le elezioni sia portare su scala europea le grandi battaglie che ora vengono fatte su scala nazionale. Ovvero i partiti europei dovrebbero diventare protagonisti nella campagna elettorale locale caratterizzandola con un dibattito su tutti i temi “caldi” della politica europea e degli Stati membri: dalle soluzioni per la crisi (es. new deal verde, quale ricorso al deficit spending, legittimità  degli aiuti di stato), alla definizione di una politica migratoria europea (immigrazione “scelta” o accoglienza?), al ruolo dell’Ue nei negoziati internazionali sul cambiamento climatico, fino alla comunitarizzazione della diplomazia “europea” ultimamente portata avanti sostanzialmente dalla Francia (vedi Georgia, Medio Oriente).
    Insomma il Parlamento non ha solo il potere di investitura della Commissione (peraltro molto ridotto rispetto ai parlamenti nazionali), ma partecipa direttamente al processo decisionale, con gradi diversi, in moltissimi campi: su questi campi, e non tanto sul ritorno economico per il proprio collegio elettorale, mi piacerebbe che si esprimessero i candidati prossimi venturi.

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