Ue: chi esce e chi entra

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Singolare coincidenza per il via vai in corso in Europa, oggetto del desiderio per qualcuno e di rifiuto per altri. E non si tratta soltanto di “sovranità nazionali” continentali in lista d’attesa per entrare nell’UE o di “sovranisti locali” che mal sopportano la strada verso una progressiva “sovranità europea”.
Sta accadendo qualcosa di molto più clamoroso: assistiamo in contemporanea a un ex-impero, quello britannico, che cerca nel caos di uscire dall’UE e a un rinato impero, quello cinese, che persegue un lucido disegno per penetrare nell’UE. Servendosi, teme qualcuno, dell’Italia come cavallo di Troia per aprirsi un varco verso gli appetitosi mercati europei.
E così le due “grane” sono finite insieme nell’agenda del Consiglio europeo dei Capi di Stato e di governo riunito a Bruxelles nei giorni scorsi, conclusosi con accordi condizionati ad ulteriori chiarimenti.
La povera Theresa May se ne è tornata a Londra per supplicare ancora una volta il suo Parlamento di adottare l’accordo sottoscritto con Bruxelles in cambio di una breve proroga per la conclusione di Brexit mentre Xi Jiping, lasciata l’Italia, sarà il 26 marzo a Parigi per incontrare il presidente francese, non da solo come nel caso di Conte, ma in compagnia della Cancelliera Angela Merkel e del presidente della Commissione UE, Jean Claude Juncker.
Per riprendere l’immagine delle due vicende parallele degli andirivieni nell’UE: nel caso del Regno Unito, Theresa May contro tutti i suoi 27 colleghi a Bruxelles (oltre quelli a Westminster); a Parigi la coppia franco-tedesca e la Commissione europea insieme ad affrontare il presidente cinese. Un format chiaramente diverso da quello visto a Roma: pericolosamente bilaterale, con un governo italiano allo sbaraglio e un Presidente della Repubblica intervenuto coraggiosamente per limitare i danni e ricordare la centralità dei diritti per il negoziato in corso.
Questo lo scenario rimbalzato a Bruxelles, dove i Capi di Stato e di governo hanno disegnato linee guida per le future trattative con la Cina, in vista del prossimo vertice UE-Cina del 9 aprile. E non a caso: oltre l’urgenza e la gravità del tema, si trattava di riaffermare la competenza, in larga parte esclusiva, dell’UE in materia di politica commerciale e l’interesse a mantenere i negoziati in ambito multilaterale, tenuto conto anche delle straordinarie dimensioni del partner cinese, naturalmente avvantaggiato da trattative bilaterali, come quelle cercate direttamente con l’Italia e già avviate da tempo con altri Paesi UE.
Una strategia cinese, quella di concludere accordi separati, che ha messo in allarme le Istituzioni comunitarie, spingendole a esigere il rispetto della regola della reciprocità nelle relazioni commerciali, in particolare per l’apertura del mercato degli appalti e per le acquisizioni di imprese.
Che a farsi interpreti di questa urgenza siano stati soprattutto Francia e Germania può sorprendere, visti i buoni affari proprio da loro già realizzati e, in particolare, l’alto livello di interscambio della Germania con la Cina, di gran lunga più nutrito di quello dell’Italia, in forte ritardo in questa competizione commerciale.
Segno che Germania e Francia, candidati a guidare l’UE di domani, stanno provando a far leva su una “sovranità europea” meglio attrezzata a difendere i loro interessi, insieme a quelli degli altri partner europei disponibili a fare gioco di squadra.
È la regola: quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare e non sembra che l’Italia sia tra questi giocatori. Anzi, a molti è parso che l’Italia sia stata scelta dalla Cina come il “ventre molle” dell’UE, isolata dagli altri partner europei, guardata con diffidenza dagli USA e non sarà certo la Russia a farla entrare sul campo di gioco.
È così, mentre la partita cresce di tono, il governo italiano resta in panchina a guardare, consumando i tempi regolamentari in infinite divisioni interne e in piccoli giochi di provincia.
Resta una magra consolazione: che forse per l’Europa è meglio così.

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