Turchia – UE: un accordo sulla pelle dei migranti

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C’era molta attesa per il Consiglio europeo straordinario dei Capi di Stato e di governo del 17-18 marzo a Bruxelles. C’era stata anche una lunga preparazione, non tutta trasparente, per un negoziato tra l’Unione Europea e la Turchia che si annunciava complesso e ad alto rischio. Complesso perché i problemi sul tavolo avevano dimensioni drammatiche per l’intensificarsi dei flussi migratori nel mar Egeo, tra Turchia e Grecia, e perché al tavolo della trattativa sedevano i rappresentanti europei e turchi, interpreti di due culture tendenzialmente divergenti, quella europea dei diritti fondamentali e quella turca dentro una deriva autoritaria di matrice islamica.

Ma anche un negoziato ad alto rischio, soprattutto per l’UE, tenuta sotto ricatto dalla Turchia per il suo ruolo sui flussi migratori verso un’Europa esposta a cedimenti importanti sul fronte dei suoi valori costitutivi, quelli proclamati in significativa successione nella sua Carta dei diritti fondamentali: dignità, libertà, uguaglianza, solidarietà, cittadinanza e giustizia.

Al tavolo della trattativa si era arrivati dopo ripetuti confronti e tensioni tra i Paesi UE, prese di posizione prima generose e poi via via più caute di Angela Merkel sull’accoglienza dei profughi siriani in Germania, un prenegoziato della stessa Cancelliera, a nome (?) dell’UE, con il governo del sultano Erdogan, supplicato di trattenere in Turchia i migranti e, nella fase finale, la convocazione di tre Consigli europei nel giro di un mese per trovare un compromesso tra posizioni divergenti in seno all’UE e tra una parte e l’altra del Bosforo.

Con quale risultato tutto questo si sia concluso non è molto chiaro. Gli osservatori – e con loro anche Matteo Renzi – sempre più critici sulla capacità di decisione, e poi di esecuzione, del Consiglio europeo, sembrano divisi, da una parte sui contenuti delle decisioni, che questa volta almeno ci sono state, dall’altra sulla loro effettiva praticabilità.

In cambio di un raffreddamento dei flussi migratori verso l’UE, la Turchia chiedeva il raddoppio, da tre a sei miliardi di euro, dei fondi destinati all’accoglienza in Turchia dei migranti, la soppressione dei visti per la circolazione dei cittadini turchi in Europa e la ripresa accelerata dei negoziati di adesione all’UE, arenatisi progressivamente negli ultimi anni.

Per semplificare si può dire che, sulla carta almeno, la Turchia abbia ottenuto quasi tutto, anche se vincolato a condizioni non facili da rispettare. Vale per la soppressione dei visti a partire dal prossimo luglio e, da subito, per la ripresa dei negoziati di adesione che tutti sanno essere un “bluff”, un accordo sottoscritto in buona parte “per finta”. Vincolata e scaglionata nel tempo anche la destinazione dei sei miliardi concessi, che dovranno servire anche per costruire scuole e ospedali, sotto il controllo dell’UE.

L’UE, sotto ricatto della Turchia, porta a casa un parziale e poco chiaro controllo dei flussi migratori, con uno scambio di uno contro uno: per ogni migrante irregolare accolto in Turchia, l’UE accoglierà un migrante avente diritto, ricollocato dalla Turchia in Europa. Uno scambio che dovrà fare i conti con i diritti dei migranti, con un loro riconoscimento pericolosamente affidato alla Turchia, seppure sotto una complicata sorveglianza da parte dell’UE.

Volendo provare a sintetizzare un primo giudizio su questo discutibile “scambio”, in attesa di capire meglio se e come funzionerà, due sono le considerazioni di fondo: l’UE ha affidato una delega molto ampia alla Turchia per la gestione dei flussi migratori verso l’Europa, piuttosto che affrontarla in prima persona, cominciando ad avvalersi sul suo territorio di quei sei miliardi dati alla Turchia e, contemporaneamente, ha “regalato” un supplemento di legittimità internazionale ad una Turchia sotto accusa per le sue crescenti gravi trasgressioni sui diritti fondamentali. Paradossalmente lo ha fatto delegando il rispetto dei diritti dei migranti, con un accordo opaco e difficilmente praticabile, a un governo inaffidabile e poco familiare alla cultura del diritto, al punto da far dire ai commentatori che il patto con la Turchia è un fallimento dell’Europa. E gli inizi laboriosi dell’applicazione di quel patto sembrano già dimostrarlo.

Le reazioni della società civile europea sono state di grande e fondata severità, Amnesty International ha parlato di un “colpo di proporzioni storiche ai diritti umani” e anche la Segreteria di Stato vaticana, nota per la sua consumata prudenza, ha parlato di un accordo “umiliante” per l’Europa.

2 COMMENTI

  1. Sono i governi europei che hanno messo la Commissione nelle condizioni di negoziare con la Turchia con le mani legate dai comportamenti affettivamente miopi di chi pensa di salvarsi ora con i muri e il filo spinato, senza attrezzarsi per affrontare domani, con mezzi adeguati e con criteri di giustizia, più gravi problemi di migrazioni dovute all’aggravarsi di dei problemi ambientali. Così si rischia di complicare il processo di costruzione dell’Unione e di accreditare la Turchia come paese europeo, chiudendo un occhio sui principi costitutivi affermati con chiarezza a Nizza e a Lisbona. E i governi non hanno forza economica e contrattuale perché non hanno coraggio civile, memoria e cultura sufficienti ad affrontare insieme le sfide di oggi. Almeno su questi ambiti non lasciamo al buio le nuove generazioni. Sembra che tardivamente si riprenda, per merito di Treellle e di Tuttoscuola, il dibattito sull’educazione alla cittadinanza nella scuola, dopo che, in sede di elaborazione della legge 107/2015, sulla buona scuola, Governo e Parlamento non hanno avuto il coraggio di citare neppure una volta la Costituzione Italiana e i fondamentali documenti europei. Almeno in sede di decreti attuativi, bisognerebbe riprendere quanto afferma una legge ignorata (169/2008), che chiede di assicurare ai giovani del primo e del secondo ciclo “conoscenze e competenze relative a Cittadinanza e Costituzione”.

  2. Il risultato scadente dell’accordo fra UE e Turchia è dovuto in gran parte al fatto che i 28 stati in complesso hanno legato le mani alla Commissione, con la politica dei muri e dei fili spinati. La debolezza diplomatica e quella economica sono frutto di paura e di miopia. In questo modo si apriranno le porte alla Turchia, chiudendo un occhio sul mancato rispetto dei diritti umani, che hanno poca autorevolezza anche nei comportamenti dei popoli e degli stati che se ne vantano nel mondo.
    Rischiamo così di non riuscire ad affrontare le ancor più gravi instabilità demografiche e migratorie di un futuro che sarà afflitto da crisi ecologiche e climatiche. Si dovrebbe, almeno da noi, lavorare di più sul piano culturale, approfittando del rilancio sui temi dell’educazione alla cittadinanza riproposto da Treellle e da Tuttoscuola, dopo che Governo e parlamento non hanno neppure citato la parola Costituzione in sede di approvazione della legge 107/2015 sulla buona scuola. Ora, in sede di attuazione dei decreti delegati, si dovrebbe riprendere il discorso, senza lasciarlo impantanare nelle sottigliezze didattico epistemologiche di tipo bizantino cui abbiamo assistito. Una legge vigente (169/2008), di fatto ignorata anche dalla legge 107, ha impegnato la repubblica a promuovere, nel primo e nel secondo ciclo, “conoscenze e competenze relative a Cittadinanza e Costituzione”. Singole iniziative lodevoli non assicurano che qualcuno insegni e che i ragazzi conoscano l’Abc dei principi, delle norme e delle regole che ci consentirebbero di evitare ricadute nella dittatura e di chiuderci in un nazionalismo ridicolo e tragico.

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